Come sarebbe la tua città ideale? Mi hanno chiesto. Non ricordo di essere mai stata in una città ideale, senza barriere architettoniche, fatta su misura per me o per chi guarda il mondo da una sedia a rotelle o in piedi ma con un bastone da passeggio. Me le raccontano le città ideali, me ne parlano con stupore, io non mi stupisco, lo so che esistono. L’ultima volta che sono uscita dalla Sicilia le mie gambe andavano da sole. A quel tempo uno scalino era solo uno scalino, di qualsiasi altezza fosse, era solo uno scalino. Un locale con tutti i tavoli attaccati così vicini da passarci a stento era solo un locale angusto e piccolo, a cui poi facevo l’abitudine. La confusione di ragazzi e ragazze ammassati e sordi, solo qualcuno con cui io stavo parlando. L’inesistenza di posti auto mi innervosiva ma trovavo parcheggio più lontano, andavo a piedi e quindi raggiungevo comodamente qualunque luogo, punto, persona dovessi raggiungere. Prendevo l’autobus, due o tre lo stesso giorno: scuola, doposcuola, uscite con le amiche, casa.
Chiedevo: ma di qui come passa un disabile? Come va al bagno? Ma perchè non spostano le sedie in questo bar? E perchè quel ragazzo che ha problemi a deambulare, non urla? Per un disabile non esiste alcun “qualunque”, un posto non vale l’altro. Gli scalini all’entrata dei locali, dei negozi, degli studi medici privati, senza l’alternativa della scivola, i marciapiedi senza l’alternativa della scivola, l’inesistenza di ascensori, i tavoli ammassati da non poter passare, i bagni inaccessibili, la presenza di posti auto per disabili ogni duecento metri oppure occupati da normodotati sono l’espressione più completa dell’inciviltà umana. Sono muri invalicabili, sono placcaggi da parte di avversari grandi, grossi e stupidi, o solamente stupidi.
www.superabile.itQuindi, come sarebbe la mia città ideale? Io credo che la domanda giusta sia: come sarebbero gli abitanti ideali? Questa è la domanda giusta. Quello che io vedo dalla mia sedia è un mucchio di gente che cammina, che si muove, che si ferma in piedi in mezzo alla strada, che non sente e non vede. Vigili Urbani che non spostano una transenna e ti dicono di andare al mare da un’altra parte. Lidi non adibiti, organizzatori di eventi che non tengono conto della possibilità che un disabile voglia partecipare. Marciapiedi con in mezzo il palo della luce e allora devo rimanere in mezzo alla strada perché salire sul marciapiede non vuol dire necessariamente poter scendere. «Permesso, per favore» e non sente nessuno e neanche ci provano. La mia facoltà si trova al Monastero di San Nicolò l’Arena a Catania: fondato a metà del XVI secolo è il secondo monastero benedettino in Europa per grandezza (210 x 130 m) dopo quello di Mafra in Portogallo. Due soli ascensori posti in due parti del Monastero non collegate tra di loro, quindi se un ascensore non funziona, niente lezioni, non si possono raggiungere le aule dei professori. Le stanze dei monaci che danno sul cortile sono state adibite ad aule, alcune sono inaccessibili. Io la biblioteca non l’ho mai neanche vista. Il diritto allo studio!
Provo disperatamente a rifiutare l’idea che se non ti capita qualcosa non puoi capirla, perchè io non ero così, che se non sei invischiato in una vita da disabile non noterai mai la mancanza di una scivola, gli scalini troppo alti, un numero esiguo di studenti disabili, forse ne avrò visti 10 contando me, in un monastero universitario con cinque corsi di laurea triennale e otto corsi di laurea magistrale, solo tre bagni per disabili. Più provo a rifiutarla, più questa idea si presenta disperata, eppure le eccezioni, la sensibilità, la gentilezza esistono.
Non si può davvero dover guardare chi mi guarda stupito dalla mia presenza e dire: Sì, vado in giro anche io, voglio andare in giro anche io. I disabili escono! Voglio andare al cinema senza dover ringraziare perché c’è un ascensore di 2 metri per 1 ma non sanno neanche conservare la postazione per i disabili e la gente rischia di inciampare nelle ruote della mia sedia. E se dovesse succedere, se inciappassero, dovrei anche scusarmi perché sono dove non dovrei stare.
Ogni mattina un disabile si sveglia e si chiede quanta educazione e forza ci vorrà per sopportare un placcaggio umano.