La polarizzazione politica non perdona.
Nell’Ottocento, in quella che gli storici chiamano “l’età dei partiti” negli Stati Uniti, le contrapposizioni di partito e la party loyalty erano talmente radicate da plasmare la vita privata e personale dei cittadini. Ricordando che la party politics era una fortezza maschile, c’è evidenza statistica che i figli votassero come i padri, di generazione in generazione. E c’è evidenza aneddotica che nelle famiglie più politicizzate anche le strategie matrimoniali fossero politicizzate. Detto in altri termini, i genitori non erano affatto contenti che i figli si sposassero in famiglie di credo partitico opposto.
Poteva un buon ragazzo repubblicano di una buona famiglia repubblicana portarsi in casa una moglie e dei suoceri democratici? O viceversa? Meglio di no.
Sembrano atteggiamenti di un passato lontano, da libri di storia appunto. E invece pare che, dopo un lungo periodo in cui si erano dissolti nell’aria, siano tornati attuali in questi tempi di crescente accesa polarizzazione politica. Nel 1960 un sondaggio chiese agli americani come si sentissero se un figlio o una figlia si fossero sposati con uno membro del partito opposto. Allora, nell’epoca felice di «I Like Ike» Eisenhower, non importava più niente a nessuno. O meglio, solo un 4 o 5% si diceva dispiaciuto all’idea. Poi tutto è cambiato.
Oggi, cioè mezzo secolo dopo, non è più così. Secondo due successivi sondaggi condotti da YouGov, nel 2008 a essere un po’ o molto irritato (somewhat upset oppure very upset) di fronte all’eventualità di un matrimonio interpartitico o transpartitico della propria progenie, era il 27% dei repubblicani e il 20% dei democratici. E solo due anni dopo, nel 2010, quelle percentuali erano ulteriormente salite a picco, al 49% dei repubblicani e al 33% dei democratici.
Il fenomeno, rappresentato nella figura qui sopra che comprende anche dati comparabili per il Regno Unito, è netto. Nella prima età di Obama, anche con un salto evidente rispetto all’immediato passato pre-Obama (e chissà che non sia proprio colpa di Obama), metà dei repubblicani non avrebbe voluto avere in casa dei Democrats acquisiti. Un terzo dei democratici nutriva lo stesso poco socievole sentimento per i GOPers.
Sembra proprio che (più) polarizzazione politica non significhi solo (più) disaccordo politico, ma qualcosa di più intenso e profondo. Qualcosa che ha a che fare con l’appartenenza tribale e con l’identità personale. Qualcosa che ha a che fare con i sentimenti, con il like e il dislike, con la fiducia e il sospetto e – diciamolo pure francamente – l’odio.
Anche nei confronti del prossimo tuo molto vicino.
Proprio il New York Times di oggi racconta come il voto dell’8 novembre abbia diviso mariti e mogli, genitori e figli, messo in crisi rapporti affettivi, messo in forse o fatto cancellare pranzi di famiglia, quelli della famiglia estesa che si raduna per Thanksgiving o per le festività di fine anno (quando comunque le regole della pace famigliare, da sempre, consigliano di non parlare di politica). Naturalmente, con le storie del Times, siamo di nuovo all’evidenza aneddotica.