Di Giovanna Mulas
In un’Italia votata a corruzione strutturale e analfabetismo funzionale (secondo le ultime statistiche quasi l’80 per cento degli italiani è analfabeta: legge, guarda, ascolta ma non capisce),basta la firma bizzosa di un’assistente sociale supportata da assistenti sociali coi medesimi requisiti, e il Visto di prassi di un giudice accondiscendente per togliere una persona alla famiglia di origine pure quando sana (sempre su responsabilità dell’assistenza sociale, i requisiti per rientrare o meno nella ‘sanità’), e affidarla alla tutela della stessa assistenza sociale locale. Il che significa, in termini di denaro, intera amministrazione dei beni dell’assistito da parte dell’assistente sociale di turno.
Dunque se l’assistito risulta essere un senza famiglia, un emarginato, è intuibile dove finiranno i suoi beni dopo il decesso. Addirittura, l’assistente sociale è in grado di decidere Quando e Se l’assistito, in vita, potrà essere visitato dalla sua stessa famiglia, Come e Dove dovrà essere curato e soprattutto da Chi; da Quale struttura. Un’assistente sociale disonesta può accordarsi con un medico disonesto e spartire, tra una cura e l’altra riportate su rendiconto annuale; quel soldo ufficialmente utilizzato per l’interesse del paziente e che invece il paziente, o la sua famiglia, non vedranno mai.
Indecorosi i recenti casi saltati agli onori della cronaca nazionale sulla nipote che, d’accordo con l’assistente sociale, fa ricoverare in istituto l’anziana zia nubile –mentalmente lucida- e senza figli, spacciandola come ‘incapace di intendere e di volere’, per entrare in possesso dell’intero patrimonio della donna, pronto ad essere spartito con la lucrosa assistente sociale e il medico complice. Dietro il perverso meccanismo dell’assistenza sociale, si comprende, ruota un giro di milioni e milioni di euro che non si sa dove vadano effettivamente a finire. È uno Stato malamente rappresentato che si giustifica; come ‘l’assistito’ vivrà non ci è dato sapere: in quel suo nuovo mondo diventato troppo piccolo e controllato potrà impazzire e domandare aiuto soltanto ad un altro assistente sociale che, di logica, sarà portato a mediare col primo: il classico cane che si morde la coda dove burocraticamente quel numero, l’utente, è già stato incasellato da un potere che giudica e giustifica se stesso, addirittura decreta cosa si deve o non si deve credere.
“Quid est veritas?”. Mi riferisco alla domanda di Ponzio Pilato, ossia “Che cos’è la verità?”. Se la verità non esiste, non esiste un criterio per giudicare le scelte di chi è al potere: un potere assente di verità, che decide per tutti. Che poi l’assistito abbia 3 o 60 anni, poco importa. Del resto anche un micropotere, quale può’ essere l’inquadrato nel microcontesto agropastorale che è il lanuseino, è in grado di giudicarsi e giustificarsi: decreta cosa si deve o non si deve credere. Un micropotere spesso assente di verità che decide in vece di quanti non a conoscenza dei propri diritti.Una parola era pronunziata dai tedeschi per giustificare lo sterminio delle persone con disabilità: Ausmerzen. Le persone costano. O meglio sarebbe fare come i pastori col gregge a marzo che lasciano indietro chi non ce la può fare ad attraversare i pascoli?
Ausmerzen significa questo: lasciare indietro chi non ce la fa, sopprimerlo o, peggio, fare in modo che non esista. L’assistente sociale Marta Manca fa il suo ingresso nel Comune di Lanusei non grazie ad un curriculum meritevole di lode, e tra mille polemiche. Le grava sulle spalle nientemeno che un’accusa di corruzione: articoli apparsi sui quotidiani regionali tra il 2002 e il 2003 ruotano attorno all’assunzione della pedagogista che sarebbe stata appoggiata, per conquistare la poltrona che ancora occupa, da Giorgio Sonis, già vicecomandante del commissariato di Lanusei, Angelo Dore, con un passato da assessore comunale e dirigente locale dei Socialisti democratici italiani ed Ernesto Loddo, già rappresentante dei braccianti Cisl nonché fratello del sindaco dimissionario di Lanusei Tonino Loddo (Margherita), che nel 2006 affida il comune al commissariamento.
Stando all’indagine, oggetto delle gravissime intimidazioni a favore della Manca è la responsabile agli affari generali del Comune Maria Grazia Mulas che, tra le minacce, riceve per posta un proiettile di pistola. L’indagine si chiude nel 2004 con proscioglimento. In un paese chiuso tra i monti come è Lanusei, 5.455 abitanti legati tra loro da una qualche forma di parentela, è assai improbabile che accada qualcosa di grave senza che nessuno se ne accorga. È il 1999, quando una ‘pedagogista’ della casa alloggio per minori L’Olivastro viene insultata nel centro di Lanusei da un gruppo di minorenni, quindi aggredita a calci e pugni. Ed è quel “in pieno centro di Lanusei”, traducibile con “senza timore di conseguenze, davanti a tutti” che attira la mia attenzione: perché dei bambini o quasi, arrivino a picchiare una donna con tanto rancore e senza timore davanti al resto della popolazione, ci vogliono motivi seppur non scusabili ma certamente gravi. La donna non sporge denuncia: atto di generosità o maldestro tentativo di fermare il proseguimento delle indagini delle forze dell’ordine?
Ad oggi, l’Associazione “L’Olivastro” di Lanusei, fondata dall’assistente sociale Marta Manca gestisce ben quattro case alloggio per minori, di cui tre soltanto a Lanusei. La sede legale dell’associazione risulta essere in via Marconi 76 dove, senza preavviso, mi rivolgo personalmente per qualche domanda su un’attività da sempre considerata affare poco trasparente, un guadagno non a favore dei minorenni coinvolti. Non va trascurato che le strutture di tipo privatistico accreditate, come le comunità alloggio, sono soggetti economici organizzati con criteri di imprenditorialità e di profitto. Una casa alloggio si alimenta con contributi pubblici, erogati dagli enti preposti, come Comune e Regione, oppure con donazioni da parte di privati cittadini.
Attira la mia attenzione che il Consultorio familiare di Lanusei, l’unico del paese, è sito nello stesso edificio: se una minore di una delle case alloggio subisce, ad esempio, abusi o soprusi; dovrà ricorrere ad un consultorio controllato, direttamente o indirettamente, dalla Manca. Ergo: la ragazzina intenzionata a sporgere denuncia può venire consigliata con vizio da chi non ha alcun interesse che il caso diventi pubblico, pena indagini e vario di prassi. Idem sul servizio legato allo sportello antiviolenza locale, dove la Manca vanta supervisione. -Dobbiamo denunciarli (i servizi sociali di Lanusei, N.d.A.)-, mi dice Giovanna M., casalinga, davanti all’ufficio in Comune, -… Anche gli estranei conoscono dettagli intimi delle famiglie più bisognose, e questi dati possono essere usciti solo dai servizi sociali… È scandaloso, è violazione della privacy-. È fuga di dati sensibili: reato punito per legge e per il quale assistenti sociali poco seri hanno perso, e continuano a perdere, la poltrona.
Il signor Antonio è basso; l’ossatura è forte, da lavoratore, si esprime in lingua sarda. Mi racconta di sua moglie, costretta al letto da qualche mese per una grave malattia degenerativa, e del lavoro che ha perso quando l’imprenditore amico è andato in fallimento. Appena ha saputo della malattia in ospedale ha domandato un letto speciale per sua moglie ai servizi sociali: “…Una piccola cosa che non abbiamo i soldi per comprare ma che la farebbe vivere con meno dolore di adesso… soffre come una bestia”, continua Antonio, e quasi si scusa per la richiesta. “…All’ufficio non mi hanno ancora risposto… Eppure sanno che viviamo in campagna, non ho i soldi per la benzina e venire qui per me è un enorme sacrificio…devo chiedere l’elemosina perché facciano il loro dovere?”. La stanza dove ci accoglie la Signora Mameli è trascurata, buia. È qui che viene svolta la parte amministrativa delle Comunità alloggio per minori l’Olivastro eppure, ad ogni mia domanda, la signora incespica quasi intimorita, si contraddice e nega.
È stato reso pubblico da tempo che, per ogni minore affidato ad una comunità alloggio, la comunità recepisce fino a 200 Euro al giorno. Secondo i dati nazionali sono oltre 30mila, i minori ospitati nelle case famiglia: un affare che si finge accoglienza. -Si comprende che la signora Manca, lavorando ai sociali del comune, ha tutto l’interesse di dirottare finanziamenti alle sue strutture. Manca risulta essere anche responsabile del sociale nell’Unione dei Comuni d’Ogliastra.-, -Non lo so, chieda a Marta Manca- fa, nervosa. -Eppure è lei, signora Mameli, che si occupa dell’amministrazione dell’Olivastro-, -NON POSSO DIRE NIENTE. SE NE VADA-. Quando mi presento in Comune all’ufficio servizi sociali trovo la porta chiusa al pubblico due volte durante gli orari di lavoro. Non c’è alcuna giustificazione scritta di assenza, per l’utente. Presso gli uffici attigui non sanno o non vogliono dirmi in merito.
Sotto la responsabilità delle assistenti sociali Marta Manca e Rita La Tosa, il settore sociali del Municipio di Lanusei salta agli onori della cronaca anche nel gennaio 2016 causa il tentativo di suicidio della giovane A.M.Piroddi, affidata alla tutela dell’assistente sociale Rita La Tosa ma abbandonata a se stessa. La ragazza, una vita da reietta e dedita alla prostituzione; si getta dal parcheggio multipiano del paese e, dopo un volo di trenta metri, riporta una serie di fratture e una lesione all’aorta. Pure ricordiamo la spinosa questione ‘baby squillo’: pedofilia e prostituzione minorile a Lanusei, disconosciuta dal servizio sociale in oggetto nonostante a conoscenza dei più e da anni. La terza volta che mi reco nell’ufficio vedo arrivare ad aprire, circa quaranta minuti dopo l’orario previsto, la signora Manca carica di buste di supermercato. Mi ripresento qualche giorno dopo con altra scusante; m’interessa fare qualche domanda sulla gestione delle comunità alloggio. Marta Manca mi risponde in malo modo: -Qui non è il luogo dove parlarne-, -Mi fissi un appuntamento dove vuole, parleremo con calma-, insisto,
-Non ho nulla da dire-. -…Si parla dell’utilizzo continuo di droghe all’interno delle Comunità de L’Olivastro. Ragazzi senza vita sociale e trattati da reietti, obbligati al silenzio-, incito l’assistente sociale. -Il problema dell’utilizzo di sostanze stupefacenti tra i ragazzi non è nuovo a Lanusei; ma per il mio lavoro oggi vedo molti più casi…-, mi conferma il Presidente di una nota associazione di volontariato locale, -…E penso che la situazione stia peggiorando: vediamo che si abbassa l’età di chi ne fa uso. Penso che una delle cause del problema stia nella tecnologia: i telefonini, i tablet, xbox e play si rivelano armi a doppio taglio perché innalzano ulteriormente l’isolamento dei ragazzi che non giocano più per strada e non parlano, sono collegati tra loro solo con questi aggeggi. Anche la mancanza di luoghi dove ritrovarsi incide molto: parecchi escono soltanto per andare a ‘farsi una canna’ in compagnia, in auto o in casa di amici. Non capiscono che in questo modo si rovinano la vita; diventano dipendenti dalle sostanze stupefacenti. I nostri giovani si stanno rovinando.-. Marta Manca alla mia domanda si alza e quasi fugge dalla stanza; chiede aiuto al sindaco. Davide Ferreli (‘Lanusé 2012’, lista civica politicamente meticcia) m’invita a lasciare l’ufficio accompagnata dai vigili, cambia tono e mi chiede di parlare in privato, nel suo studio. Ammetterà che è stato lui stesso a raccomandare la Manca come responsabile al sociale nell’Unione dei Comuni: -Non vedo conflitto d’interessi, in caso contrario me l’avrebbero fatto notare, non crede?-.
Il Sindaco specifica un attuale interesse ad inserire nelle comunità alloggio anche i profughi (a seguito polemica nata, diversi mesi fa, sulla cacciata dal paese di vasto gruppo di migranti non desiderati, N.d.A.) dopo consultazione con la Caritas locale che, dichiara Ferreli, ha declinato l’invito all’accoglienza. Si ricorda al Lettore che la Caritas di Lanusei è già stata oggetto di denuncia alla Finanza per sospetto di attività illecite nella ripartizione dei beni alle famiglie in necessità. Un ampio edificio già delle suore risulta, ad oggi, disabitato; come pure L’Istituto Salesiano, le cui stanze vengono affittate a pagamento durante l’estate.
Secondo la legge italiana si verifica un conflitto di interessi quando chi detiene un ruolo di responsabilità si trova ad avere a che fare con interessi professionali o personali che intervengono nella questione rischiando di ledere l’imparzialità richiesta per esercitare un determinato ruolo o funzione. Di fronte a situazioni di questo tipo, il soggetto ha due opzioni: o evitare il conflitto di interessi oppure approfittare della propria posizione e del ruolo esercitato per scopi personali. Ospitare profughi rappresenta ulteriore grande affare per chi ospita, non per quanti vengono ospitati: per ogni immigrato accolto in un istituto, anche se clandestino, lo Stato elargisce 35 euro che diventano 45 se è un minorenne non accompagnato. Su trentacinque euro versati in media alle cooperative, meno di tre euro va ai migranti. La competenza è comunque dei comuni che si avvalgono per la gestione delle comunità di accoglienza che devono assicurare anche servizio sociale e di tutela; le rette possono superare anche i 140 euro.
Se l’istituto di accoglienza accetta anche la beneficenza, i costi di gestione giornalieri sono minori rispetto a quanto precedentemente calcolato. -…Sarebbe utile che ogni Casa rendesse pubblica le modalità con cui vengono utilizzati i fondi-, riporta Lino D’Andrea, -…Quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto è che, in assenza di informazioni, i bambini stanno in questi posti e nessuno gli fa fare niente. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite-. Ogni ospite che risiede in una Comunità costa dai 70 ai 120 euro al giorno. La retta agli istituti (sia religiosi sia laici) viene pagata dai Comuni. Soldi pubblici, dunque. Erogati fino a quando il bambino resta nella casa. Un giro d’affari che si aggira intorno a 1 miliardo di euro l’anno; tanto ricevono le oltre 1800 case famiglia italiane per mantenere le loro quote di minori. Un bambino assegnato a una coppia è una retta in meno che entra nelle casse della comunità e così, purtroppo, si cerca di tenercelo il più a lungo possibile. La media è 3 anni.
Gli ospiti delle case alloggio sono figli di nessuno o meglio, figli dei servizi sociali, di una sentenza. Entrano in una comunità e a volte ci restano fino a quando diventano maggiorenni. Pure accade che, paradossalmente, una volta raggiunti i 18 anni e uscito dalla struttura in cui è cresciuto, al ragazzo spetti di ritornare nella famiglia di origine da cui è stato tolto. Una seria Comunità Alloggio (istituto al quale si rivolgono non solo i tribunali dei minorenni ma che diventa importante anche in funzione ai massicci sbarchi migratori) è luogo dove si dovrebbe curare la sofferenza emotiva dei bambini temporaneamente o definitivamente fuori dalla loro famiglia e di persone con disabilità che non possono più contare sul sostegno della famiglia. Occorre offrir loro un ambiente simile a quello familiare, perché il ragazzo possa rimettere in moto il senso di perdita e di abbandono, e contestualmente avviare un processo rigenerativo che risana le ferite grazie all’esperienza di essere accolto, all’esperienza di crescita, all’esperienza di socialità, all’esperienza di affettività, che può fare in casa famiglia o in una comunità di accoglienza.
Per comunità di accoglienza intendo la comunità civile, in questo caso Lanusei: il paese sempre più potrà e dovrà lavorare su politiche di integrazione che prevedano interventi diversificati, perché una soluzione può andare bene per un giovane e non per un altro. Sono ospiti delle Comunità alloggio minori di età compresa tra 6 e 18 anni segnalati dai Servizi Sociali sulla base di Decreti di allontanamento emessi dai T.M. o sulla base di progetti psico-educativi consensuali che indichino nell’allontanamento dal nucleo familiare la scelta educativa utile e necessaria ai fini della tutela, della cura e della crescita del minore stesso.Inoltre sono ammessi ragazzi maggiorenni in regime di proseguo amministrativo concesso dai T.M. Sono esclusi dalla possibilità di ammissione i minori sottoposti a misure cautelari e coloro che presentano patologie psichiatriche conclamate.
In via del tutto eccezionale l’età di ammissibilità 6-18 anni si potrà abbassare anche nella fascia 3-6 anni per quei minori che non avranno trovato, attraverso i canali dell’Affido Familiare, la risposta più adeguata alla particolare condizione psico-evolutiva tipica di questa età. Tale ammissibilità si potrà estendere anche a quei minori di 3-6 anni facenti parte di nuclei di fratelli al fine di evitare problematiche separazioni relazionali-affettive.
L’Italia è il Paese delle Case Famiglia: dalle stime oltre 1800 strutture distribuite da Nord a Sud. Lazio, Emilia Romagna,Sicilia, Lombardia sono quelle che raggiungono i numeri più consistenti; tra le 250 e le 300. Dopo che nel 2008 i parlamentari Antonio Mazzocchi e Alessandra Mussolini hanno lanciato un appello al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e al Presidente del consiglio Berlusconi, il sottosegretario alla giustizia Casellati ha varato un database -All’italiana…-, spiega la Mussolini: -… Perché riguarda solo le adozioni e non contempla anche i casi, numerosissimi, di affido. La realtà è che aspettiamo ancora un censimento vero e proprio e un adeguamento così come prevede la legge 149/2001-. -La vita della persona umana – sottolinea il Cardinale Carlo Maria Martini nel discorso di apertura tenuto al Convegno di studio “Prima intervenire a casa – Gli interventi domiciliari di cura e sostegno alle persone malate o in difficoltà come priorità per amministratori, operatori e volontari” , già organizzato dal Centro studi e programmi sociali e sanitari di Roma, -… Si dispiega ordinariamente attorno al centro fisico e simbolico rappresentato dalla casa. Ciascuno ha in qualche modo la sua casa fosse pure il casolare, l’appartamento, il convento, il rifugio notturno dei senza fissa dimora… Ciascuno ha o cerca un luogo a cui fare riferimento. Vi torna o aspira a tornarvi, perché la casa esprime in un modo o nell’altro la vita della persona. È per ciascuno di noi una necessità e una protezione-.
A Fulvio Usai, assessore al sociale del Comune di Lanusei domando una riflessione sull’attività della signora Manca quindi dell’ufficio interessato. L’assessore mi chiede se è un’inquisizione, dice che non è a conoscenza delle attività della signora, siamo d’accordo sul fatto che occorra lavorare parecchio, socialmente parlando, su Lanusei. Una comunità alloggio può’ divenire mero ghetto, se vengono a mancare i controlli all’interno delle strutture, gli stimoli esterni per gli ospiti e i rapporti con il contesto sociale che li circonda. La prima volta che, con Gabriel, incontriamo S.E. Mons. Antonello Mura, Vescovo di Lanusei, parliamo come se ci conoscessimo da sempre; gli leggo negli occhi lo stesso desiderio di giustizia di Papa Jorge M. Bergoglio, una festosa curiosità per la vita. Siamo d’accordo sul fatto che una piccola comunità come Lanusei può’ spaurire davanti all’evidenza di fatti prima soltanto sussurrati; e si sa che una notizia ha solo un modo per essere data onestamente, e se il tema è duro gli animi dovranno scuotersi comunque. Forse risulta sovente necessario che si scuotano. Altri modi sono il non dare la notizia nella sua integrità o, peggio, censurarla.
Ci si auspica un Lanusei Sociale consolidato, pulito. E’ un lavoro costante e gravoso ma ognuno, nel suo piccolo, può’ fare tanto e per tutti, denunciando il malaffare a scapito di quanti non in grado di difendersi, anche e soprattutto quando l’ingiustizia non riguarda i propri interessi. È un dovere umano, prima che etico. I bambini, le persone non sono numeri e l’accoglienza non basta: la vera sfida, per ogni Comunità degna di chiamarsi tale, resta l’integrazione.
Ciao, grazie per avere avuto il coraggio e la chiarezza mentale per scrivere questo articolo. Mi chiamo Mara e sono una psicologa psicoterapeuta. Mi è capitato di svolgere i miei tirocini nelle ASL di Milano e di lavorare in stretto contatto con gli assistenti sociali. Ho potuto scoprire un mondo raccapricciante di soprusi ed ignoranza a danno delle fasce deboli della popolazione, di cui da loro cerca aiuto. Spesso gli psichiatri sono complici. Ora, da due anni, mi sono trasferita in Liguria e per cercare di inserirmi nel territorio ho cominicato a fare volotariato in un Centro Antiviolenza a Chiavari. Ho scoperto che i legami con l’ASL e gli assitenti sociali del territorio è alla base di tutto. Loro permettono al Centro Antiviolenza di lavorare, pubblicizzarsi e ricevere finanziamenti. Il Centro in cambio forniamo dati sensibili agli assistenti sociali dell’ASL e alle forze dell’ordine. Alle donne che vengono in primo colloquio , spesso straniere, o in stato di schock, viene fatta firmare una privicay dove alla fine c’è la clausa ce da il permesso a noi del centro di riferire tutti i dati raccolti durante il colloquio. In tal modo spesso le donne si vedono arrivare a casa i carabinieri e fare indagini sui figli e altri dati che avrebbero dovuto rimenare segreti nel colloquio. Io sono sconvolta da questo sistema di cosa e infatti le miei colleghe stanno facendo di tutto per mandarmi via dal Centro, mi stanno mobbizzando in tutti modi affinchè sia io a decidere di andarmene. Fino ad ora ho resistito, perchè il mio fine è mettere in guardia le donne e fornire loro un autentico supporto psicologico. Personalmente non ci guadagno nulla, lavoro in regime di volotariato totale. So che ci sono dei finaziamenti che arrivano al centro antiviolenza, ma non so con quale criterio vengano spartiti. So solo che a me non arriva nulla. I bilanci mi vengono comunicati. Tuttavia penso che ci sia anche un minimo di intersse economico. ma sopratutto l’interesse di avere voce in capitolo nella politica della Regione. A questo servono i Centri Antiviolenza per donne. Sono una associazione a delinquere a danno di alcune donne, che diventano pecorelle in bocca ai lupi. Certo, alcune ricevono aiuto ed assistenza e ne escono contente e soddisfatte dal percorso fatto. Ma questa è solo la superficie, per nascondere gli interessi sottostanti, che coinvolgono la Regione e lo Stato. Resto a disposizione per fornire la mia collaborazione. Desidero in un mondo migliore e lavoro per questo.
Ciao Mara, scrivici a [email protected]