E’ inevitabile, che dopo tragedie come quella di Parigi, si sollevi una nuvola di facili sentenze, utili soprattutto a confondere le idee dei lettori.
Con i corpi ancora caldi, il terrore che scorre come acciaio vivo nelle vene, i kalasnikov ancora fumanti, già si sa tutto di tutti. Ancora una volta, la cosa che sappiamo fare meglio è pontificare i giornali, innalzare grattacieli d’informazioni fittizie e mai dimostrate, additare un colpevole. E affidare ogni speranza al politico di turno, che si, saprà di certo cosa fare.
Intanto l’aria puzza di guerra, di sangue, di bombe, di minacce, dolore, di carne umana al fuoco; un po’ come l’inutile scalpitare dei ministri. Un grande calderone fumante, dove vengono gettate al fuoco promesse, accordi, strategie, speranze.
Ci stiamo scambiando analisi su jahdisti armati, sui terribili uomini vestiti di nero, che incarnano il male più assoluto. Stiamo parlando di provvedimenti da prendere, del dovere di reagire, come se giocare con la vita di milioni di persone innocenti, fosse buono e lecito.
Non è un caso se in questi ultimi giorni vengono condivise le ideologie della Fallace, grande sostenitrice delle famose guerre di George Bush; ormai note come inutili bagni di sangue, che servirono probabilmente ad innescare molti degli attuali orrori del Medio Oriente.
Sembra un incubo che non finisce mai. Arrivano notizie da ogni dove, la Polizia internazionale perquisisce in massa le zone più a rischio del fondamentalismo islamico, si cercano uomini in fuga, e sembra che questi vengano avvistati ovunque.
Non abbiamo neanche il tempo di piangere in silenzio le vittime di venerdì scorso, che scoppia il diluvio di fuoco su Raqqa, la capitale dell’Isis in Siria. Almeno 30 raid in poche ore, una vera e propria pioggia di fuoco. Il terrore sembra non arrestarsi mai, corpi inermi cadono a terra in pozze di sangue, bombe, fucili, morte, morte, morte ovunque.
Nessuno sembra avere la fedina penale pulita.
L’Apocalisse si ripete nuovamente di venerdì, a una settimana esatta dalla strage di Parigi. Un commando di una dozzina di terroristi, con armi e granate, ha aperto il fuoco in un hotel a Bamako, capitale del Mali.
“Allah u Akabar”, Dio è grande, è questo il benvenuto, l’inizio di questa guerra spaventosa.
E’ un terrore che scorre lungo il filo invisibile dei media; una propaganda bellica, che ricorda i tempi neanche troppo lontani del nazismo, dove il sistema d’informazione era decisamente molto sviluppato, tra la stampa, i giornali, la radio, la propaganda. Avrebbe avuto lo stesso peso, in un mondo tecnologicamente meno avanzato?
E’ ovvio, i Mass Media devono informare in tempo reale, di ciò che accade nel mondo, ma troppe informazioni, spesso addirittura in contrasto l’una con l’altra, esasperano il fatto stesso.
Un tempo l’esercito veniva annunciato dai tamburi di guerra, ora la guerra stessa viene annunciata da una raffica di tweet. Il movimento del terrore sta affilando le sue armi anche sul web, sfruttando tutti gli strumenti della comunicazione, a partire da twitter, dove pubblicano foto di uccisioni in tempo reale, più crude e macabre che mai. Che l’Isis utilizzi i social media non desta di certo stupore, proprio attraverso al web cerca di fatto di reclutare adepti, di diffondere il proprio messaggio, cerca di raccogliere fondi. Usa i social in maniera professionale, ingaggiando addirittura dei social media strategist, per gestire e potenziare l’effetto dei propri messaggi. Si tratta di un’App per gestire i tweet, dal contenuti decisi dagli esperti.
Quindi, mentre gli pseudo intellettuali sentenziano e polemizzano, in tv e sui giornali, e l’Isis raccoglie una raffica di tweet, la realtà continua a fare il suo corso al di fuori degli schermi. Il festival dell’orrido continua a scorrere dinnanzi i nostri occhi.
La Russia non rinuncia a mostrare la sua supremazia militare, coalizzandosi immediatamente contro la minaccia mondiale. Si parla di coordinamento degli sforzi contro lo Stato Islamico, si assicurano contatti più stretti, e coordinamento delle attività tra le agenzie militari e i servizi di sicurezza dei Paesi, nelle operazioni contro i terroristi.
“Contro l’Isis uniti come contro Hitler”.
Uniti contro un male comune. Ma chi rappresenta questo male?
Esiste un comandamento antichissimo, “non uccidere”, che suggerisce che nessuno può, di propria iniziativa, versare sangue umano per affermare un proprio presunto diritto. L’esistenza umana dovrebbe essere regolata dalla moralità, e non dall’istinto, accecato dalla rabbia.
Nessuno, ma proprio nessuno, sembra avere la fedina penale pulita.
Concludo questo articolo con un pezzo tratto da “La banalità del male”, della filosofa e scrittrice tedesca, Hannah Arendt, vissuta all’epoca del nazismo.
“E anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga ne una profondità, ne una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E’ una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento in cui si interessa al male, viene frustrato, perché non vi trova nulla. Questa è la banalità. Solo il bene ha profondità, e può essere radicale”.
Una riflessione che trovo terribilmente attuale, profonda e radicale, proprio come la storia che abbiamo alle spalle, che purtroppo dimentichiamo troppo spesso.