Secondo una recente ricerca internazionale, i farmaci per l’ADHD sono associati a un lieve aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, ma i vantaggi complessivi superano di gran lunga questi effetti collaterali. L’indagine, guidata da scienziati dell’Università di Southampton, sottolinea comunque l’importanza di una supervisione attenta durante il trattamento con farmaci per l’ADHD.
La sicurezza a lungo termine dei farmaci per l’ADHD
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è una condizione neuroevolutiva che colpisce una parte significativa della popolazione, soprattutto in età pediatrica, ma anche tra gli adulti. Le persone affette da ADHD spesso mostrano difficoltà di concentrazione e una marcata disorganizzazione nelle attività quotidiane. La gestione terapeutica di questo disturbo ha subito un’evoluzione significativa negli ultimi decenni, portando alla diffusione di trattamenti farmacologici mirati.
Lo studio in questione ha esaminato gli effetti dei medicinali utilizzati nel trattamento del disturbo, analizzando dati relativi a bambini, adolescenti e adulti. I risultati hanno evidenziato un incremento generalmente modesto della pressione e del battito cardiaco tra i pazienti in cura, ma senza collegamenti evidenti con lo sviluppo di patologie cardiovascolari gravi. Fa eccezione il guanfacine, un farmaco non stimolante, che ha mostrato un effetto opposto, riducendo leggermente i parametri cardiovascolari.
Il professor Samuele Cortese, uno degli autori principali della ricerca, ha sottolineato che ogni intervento medico deve essere valutato bilanciando attentamente rischi e benefici. In questo caso, il rapporto risulta favorevole, specialmente se si considerano i miglioramenti a lungo termine che i pazienti riportano in termini di performance scolastiche, stabilità emotiva e riduzione di comportamenti a rischio.
Una delle preoccupazioni più diffuse tra i genitori e alcuni professionisti della salute riguarda la sicurezza a lungo termine dei trattamenti farmacologici. Tuttavia, diverse ricerche hanno dimostrato che l’uso appropriato e monitorato di questi farmaci può ridurre il rischio di sviluppare ansia, depressione, disturbi alimentari e perfino comportamenti autodistruttivi. Inoltre, i pazienti trattati correttamente tendono a ottenere risultati migliori nel percorso scolastico e a raggiungere una maggiore autonomia economica da adulti.
L’importanza delle visite mediche periodiche
Nonostante questi dati incoraggianti, resta fondamentale monitorare regolarmente i parametri vitali dei pazienti in terapia. Gli esperti raccomandano visite mediche periodiche con controllo di pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Particolare attenzione è richiesta nei soggetti con patologie cardiache preesistenti, per i quali è consigliata la consulenza di uno specialista prima di avviare qualsiasi trattamento.
Il quadro che emerge suggerisce che i vantaggi di un trattamento farmacologico mirato superano le eventuali criticità, purché si segua un approccio personalizzato e sorvegliato. Tuttavia, non manca chi segnala la necessità di linee guida più dettagliate per aiutare i medici a decidere quando modificare o sospendere una terapia in base alla risposta individuale del paziente.
In parallelo, il sistema sanitario britannico sta affrontando una crescente richiesta di diagnosi e trattamenti per ADHD e disturbi dello spettro autistico. Negli ultimi anni, le prescrizioni di medicinali sono aumentate del 18% su base annua, con picchi evidenti in aree metropolitane come Londra. Questo incremento ha messo in evidenza le carenze organizzative del sistema attuale, definito da alcuni osservatori “obsoleto” rispetto alla mole di richieste da gestire.
Oltre all’aspetto clinico, permangono anche sfide culturali. Secondo Tony Lord, ex direttore della ADHD Foundation, c’è ancora una diffusa ignoranza sul ruolo reale dei trattamenti farmacologici. Negli anni ’80 e ’90, questi farmaci venivano spesso stigmatizzati come “pillole della disciplina”, usate per contenere comportamenti iperattivi nei bambini. In realtà, si tratta di strumenti che agiscono sul funzionamento cognitivo, migliorando l’organizzazione mentale, la capacità di concentrazione e la regolazione degli impulsi.
L’evidenza scientifica attuale dimostra quindi che, se utilizzati con attenzione e responsabilità, i trattamenti farmacologici rappresentano un valido alleato per migliorare la qualità della vita delle persone con ADHD. Restano comunque fondamentali il dialogo tra medici, pazienti e famiglie, la consapevolezza pubblica e l’adattamento del sistema sanitario ai bisogni in continua evoluzione.
Elena Caccioppoli