Il caso di Salvatore Montefusco, accusato di aver ucciso la moglie Gabriela Trandafir e la figlia di lei Renata, continua a far discutere dopo la sentenza. Nonostante la brutalità del crimine, che ha visto il doppio omicidio delle due donne a Cavazzona di Castelfranco Emilia il 13 giugno 2022, i giudici della Corte di Assise di Modena hanno deciso di condannare l’imputato a 30 anni di reclusione invece dell’ergastolo, come richiesto dalla Procura, con una motivazione che ha destato lo scandalo di molti: i motivi che hanno spinto Montefusco a compiere l’omicidio sono “umanamente comprensibili”.
I giudici, pur riconoscendo delle aggravanti, hanno ritenuto che le attenuanti generiche fossero equivalenti alle stesse. Tra le aggravanti emerse durante il processo, vi sono il rapporto coniugale e il fatto che l’omicidio fosse stato compiuto davanti al figlio minore della coppia, ma non sono stati riscontrati motivi abietti, futili o premeditazione. Inoltre, la Corte ha ritenuto che l’imputato non avesse agito con crudeltà, ma piuttosto in seguito a una reazione impulsiva legata a una situazione familiare già compromessa.
Il giudizio della Corte si basa sulla condizione psicologica di Montefusco, che avrebbe agito in un momento di estremo disagio e frustrazione. Secondo i giudici, l’omicidio non sarebbe stato il risultato di un movente economico legato alla casa, ma di una crisi emotiva profonda, causata da una serie di conflitti familiari e denunce reciproche tra l’imputato e le vittime. Questo clima di violenza psicologica avrebbe fatto sì che l’uomo perdesse il controllo, scatenando la sua reazione violenta.
La dinamica familiare e la frustrazione dell’imputato
I giudici hanno ricostruito i fatti, mettendo in luce una lunga serie di conflitti familiari tra Montefusco e le due donne. Il rapporto con la moglie Gabriela e con la figlia Renata si era deteriorato nel tempo, con frequenti tensioni e violenze psicologiche da entrambe le parti. La Corte ha precisato che la decisione di uccidere le due donne non fosse il risultato di un movente esclusivamente materiale, ma piuttosto di una profonda sofferenza emotiva che Montefusco avrebbe vissuto.
Secondo il racconto dell’imputato, la conversazione in cui Renata gli avrebbe chiesto di lasciare la casa avrebbe rappresentato un momento di stress psicologico estremo, tanto da scatenare quella che Montefusco stesso ha definito una sorta di “black-out emozionale”. Questo stato mentale alterato, secondo i giudici, lo avrebbe spinto a prendere il fucile e, senza riflettere, a compiere l’omicidio delle due donne. Le testimonianze in aula hanno confermato che l’imputato non aveva mai precedentemente minacciato di morte le sue vittime.
La reazione dei familiari delle vittime
La decisione della Corte ha suscitato una forte reazione nei familiari delle vittime. L’avvocato Barbara Iannuccelli, che rappresenta i parenti di Gabriela e Renata, ha espresso il proprio sgomento di fronte a una sentenza che sembra dare troppo peso alle circostanze personali dell’imputato, ignorando la gravità e la crudeltà dell’atto.
La stessa avvocatessa ha ricordato che Renata Trandafir, la giovane figlia della vittima, aveva sempre sognato di diventare avvocato per poter difendersi dalle violenze quotidiane che lei e sua madre subivano. In questo senso, la sentenza che ha ridotto la pena di Montefusco, riconoscendo le attenuanti generiche, appare come un atto di benevolenza verso l’assassino, che viene trattato come se fosse la vittima di un contesto familiare difficile.
Le attenuanti generiche e il diritto di giustizia
La decisione della Corte di considerare le attenuanti generiche alla pari delle aggravanti ha alimentato un acceso dibattito giuridico. Se da un lato i giudici hanno cercato di comprendere le ragioni psicologiche che potrebbero aver spinto Montefusco a compiere il crimine, dall’altro, molti ritengono che non sia giustificabile una pena così lieve in un caso di doppio omicidio. La società si interroga sulla necessità di condanne più severe in presenza di crimini di questa gravità, per evitare che atti di violenza come quelli compiuti da Montefusco possano ripetersi in futuro.
Le reazioni della famiglia delle vittime e della difesa delle donne si concentrano sull’idea che l’indulgenza nei confronti dell’imputato rischi di minare il principio di giustizia, soprattutto in un caso di violenza domestica così estremo. La giustizia, sostengono i familiari delle vittime, non dovrebbe mai scendere a compromessi quando si tratta di punire chi ha tolto la vita a due donne innocenti.
La difficile ricerca di giustizia
Il caso di Salvatore Montefusco rappresenta una dolorosa riflessione sulla giustizia penale e sul trattamento dei crimini familiari. La corte ha deciso di bilanciare le attenuanti e le aggravanti, ma molti ritengono che la pena inflitta non rispecchi pienamente la gravità dell’omicidio. Questo episodio accende una luce sulla necessità di un sistema giuridico che possa proteggere le vittime di violenza domestica con maggiore fermezza, riconoscendo l’atrocità di tali crimini e prevenendo in futuro situazioni simili.