La comunità LGBTQ+ keniota e l’opinione pubblica del Paese sono rimaste sconvolte dalla sentenza di 50 anni di reclusione inflitta al fotografo Jacktone Odhiambo per l’omicidio del giovane attivista e stilista Edwin Chiloba. Un delitto efferato, avvenuto quasi due anni fa, il cui movente ha profondamente a che fare con la lotta per i diritti delle minoranze sessuali nel Paese dell’Africa orientale.
La Corte suprema di Eldoret ha da poco emesso la sentenza: 50 anni di prigione per Odhiambo, colpevole di aver ucciso l’attivista gay Chiloba. Il giudice Reuben Nyakundi, nel pronunciare la sentenza, ha definito il gesto di Odhiambo “diabolico e premeditato“, sottolineando la crudeltà con cui è stato ucciso il giovane fashion designer.
La famiglia di Edwin Kiprotich Kiptoo (vero nome di Chiloba) aveva chiesto la pena di morte, poi negata dal giudice in quanto la Corte Suprema nel 2017 l’ha dichiarata incostituzionale per i reati di omicidio.
Chiloba, figura di spicco all’interno della comunità LGBTQ+, è stato trovato senza vita in un contenitore metallico poi abbandonato lungo una strada a 300km da Nairobi, nel gennaio 2023. L’autopsia ha rivelato segni evidenti di violenza sessuale e ha confermato la causa del decesso per asfissia, provocata dallo strozzamento della vittima.
I due personaggi coinvolti erano coinquilini e, secondo le speculazioni trapelate dai social media, probabilmente amanti: i test del DNA sono stati determinanti nel collegare Jacktone Odhiambo alla morte violenta della vittima. Secondo quanto emerso dal processo, i due uomini sono stati visti l’ultima volta insieme a Capodanno dopo una serata fuori mentre si dirigevano verso casa.
Alcuni testimoni oculari hanno successivamente riferito di aver udito forti urla provenire dall’abitazione, seguite da un inquietante silenzio mentre un tassista ha affermato di aver visto una scatola metallica venire gettata da un’auto in corsa. Inoltre, è emerso che il corpo senza vita di Chiloba indossava degli indumenti femminili.
Un delitto motivato dall’odio?
La notizia del delitto ha fatto il giro del mondo, suscitando indignazione e solidarietà verso la vittima: Chiloba, infatti, con la sua energia e il suo coraggio era diventato un simbolo della lotta per i diritti LGBTQ+ in Kenya, un Paese in cui l’omosessualità è ancora fortemente stigmatizzata e punita dalla legge.
Le motivazioni che hanno spinto Odhiambo a compiere un gesto così efferato restano ancora in parte oscure: sebbene non siano emersi elementi certi che colleghino il delitto a un’omofobia radicata, è innegabile che l’orientamento sessuale di Chiloba abbia giocato un ruolo importante.
L’accusa ha infatti sostenuto l’ipotesi di un delitto d’odio, sottolineando il clima di intolleranza e discriminazione che spesso si abbatte sulle persone LGBTQ+ in Kenya. La difesa, invece, ha tentato di presentare Odhiambo come un uomo incapace di intendere e di volere al momento del fatto ma le sue argomentazioni non hanno convinto il giudice.
Secondo The National Gay and Lesbian Human Rights Commission:
«L’omicidio di Chiloba non solo lo ha derubato del suo promettente futuro ma ha anche inviato un agghiacciante messaggio di paura e ingiustizia ai residenti emarginati del Kenya in tutto il paese. Questo verdetto segna un momento di responsabilità atteso da tempo, offrendo uno spiraglio di giustizia per Edwin e ricordando che nessun atto di violenza contro una persona LGBTIQ+ del Kenya passerà inosservato o incontrollato.
Continuiamo a chiedere al governo, alle forze dell’ordine e alla magistratura del Kenya di rafforzare il loro impegno nell’affrontare la violenza la comunità LGBTIQ+, come sancito e guidato dalla Risoluzione 275 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, per garantire protezione a tutti i keniani emarginati e per fornire maggiore sostegno alle vittime e alle loro famiglie.»
Nel Paese, infatti, la comunità queer va ancora incontro a pesanti discriminazioni e ostacoli: il Codice Penale, risalente al periodo coloniale britannico, criminalizza l’omossesualità con pene che possono arrivare fino a 14 anni di carcere. La stessa legislazione, inoltre, marchia qualsiasi orientamento sessuale che non rientra nei canoni dell’eteronormatività come “contro natura” e prevede anche il reato di di “gross indecency” tra uomini, con pene fino a 5 anni. Nel 2019, la High Court ha respinto una petizione presentata da vari attivisti per i diritti umani che chiedevano proprio la depenalizzazione delle relazioni omosessuali.
Un segnale di speranza
La morte di Edwin Chiloba ha lasciato un vuoto incolmabile nella comunità LGBTQ+ keniota. Molti attivisti hanno addirittura denunciato l’aumento degli episodi di violenza e crimini d’odio nei confronti delle persone omosessuali dopo il delitto.
Permangono altri omicidi ancora irrisolti, collegati all’ostilità nei confronti delle persone queer: quelli di Sheila Lumumba, Rose Mbesa, Erica Chandra e Joash Mosoti.
Nonostante la gravità del fatto, la condanna di Odhiambo rappresenta comunque un momento storico: la giustizia ha finalmente fatto il suo corso, dimostrando che anche in un contesto sociale complesso e conservatore è possibile ottenere risultati concreti
Forse questa vicenda spingerà il governo keniota a fare altri passi avanti in merito ai diritti delle persone gay e trans, prendendo sul serio la questione della diversità sessuale e accogliendo finalmente anni di sforzi messi in atto dalle principali associazioni che lottano per i diritti umani.
Il delitto di Edwin Chiloba è un monito per tutti noi: ci ricorda che la violenza, in tutte le sue forme, è inaccettabile, invitandoci a riflettere sulla necessità di costruire una società più inclusiva e tollerante, in cui ognuno possa vivere la propria vita senza paura e senza pregiudizi.