In Italia la questione della discriminazione continua a rappresentare una delle sfide più rilevanti. I dati forniti da uno studio di CVwizard rivelano che il 68,9% dei candidati vorrebbe che le candidature fossero trattate in forma anonima. Questo desiderio esprime una crescente consapevolezza riguardo ai pregiudizi che influenzano negativamente il processo di selezione. In Italia, circa il 50,7% delle persone ha dichiarato di essere stata vittima di discriminazioni durante la fase di candidatura, subendo bias legati a età, genere e razza. Questo scenario dimostra come i pregiudizi siano ancora largamente radicati nel mercato del lavoro italiano, ostacolando un accesso equo alle opportunità professionali.
L’ageismo: un pregiudizio radicato
Quando si parla di discriminazione nel mondo del lavoro, spesso si fa riferimento a quella basata sulla razza o sul genere. Tuttavia, in Italia e in Europa, il pregiudizio che colpisce più duramente i lavoratori è quello relativo all’età, noto come ageismo. Secondo una ricerca europea condotta da PageGroup e riportata dal Sole 24 Ore, circa un terzo dei lavoratori (34%) ha subito discriminazioni legate all’età. A conferma di questa tendenza, un sondaggio di CVwizard mostra che gli uomini tra i 45 e i 60 anni sono i più colpiti da questo tipo di pregiudizio, con il 54% che afferma di aver subito un trattamento discriminatorio legato all’età.
L’ageismo è uno dei pregiudizi più subdoli, poiché influisce negativamente sulle possibilità di carriera di numerosi professionisti, specialmente quelli che vengono considerati “troppo anziani” per ruoli che richiedono competenze innovative o tecnologiche. Le aziende, infatti, talvolta percepiscono i lavoratori più maturi come meno adattabili ai cambiamenti o poco familiari con le tecnologie più moderne, senza che questo rifletta necessariamente le loro reali competenze.
La proposta delle candidature anonime
Una delle soluzioni più discusse per ridurre i pregiudizi durante il processo di selezione è quella di adottare candidature anonime. In questo modello, le informazioni personali come nome, età, genere e foto vengono rimosse dal curriculum, in modo che il selezionatore si concentri esclusivamente sulle competenze e esperienze del candidato. Secondo i risultati dello studio di CVwizard, ben il 69% degli intervistati si è detto favorevole a un sistema di selezione completamente anonimo. L’idea alla base di questo approccio è che eliminando gli elementi identificativi, il processo di assunzione possa concentrarsi su ciò che veramente conta: le capacità professionali del candidato, senza alcuna influenza dei bias legati a caratteristiche personali.
Esistono già piattaforme come Blender e Applied che offrono strumenti per anonimizzare i CV, integrandosi con i sistemi delle risorse umane delle aziende. Questi strumenti non solo rimuovono le informazioni identificative, ma aiutano anche a rilevare e ridurre i pregiudizi, migliorando l’inclusività e la trasparenza dei processi di selezione.
L’intelligenza artificiale: vantaggi e sfide
L’uso dell’intelligenza artificiale (AI) sta diventando sempre più diffuso nei processi di selezione, grazie alla sua capacità di analizzare automaticamente i CV, basandosi su competenze e parole chiave. Tuttavia, l’adozione dell’AI in risorse umane non è priva di problematiche. Se gli algoritmi vengono addestrati su dati errati o influenzati da pregiudizi preesistenti, c’è il rischio che l’AI possa perpetuare le stesse discriminazioni, favorendo ad esempio i candidati giovani, maschi o appartenenti a determinate etnie.
Secondo un sondaggio, il 61% delle persone ha manifestato scetticismo riguardo all’impiego dell’intelligenza artificiale per la selezione del personale, ritenendo che un’analisi automatica possa non garantire l’equità. Per evitare che ciò accada, è fondamentale monitorare costantemente gli algoritmi e coinvolgere esperti per garantire che i modelli adottati siano equilibrati e privi di bias.
Le sfide nell’adozione di candidature anonime
Nonostante i numerosi benefici delle candidature anonime, la loro implementazione presenta alcune difficoltà. La creazione di un processo di selezione completamente cieco richiede un grande impegno da parte delle aziende, oltre a una solida infrastruttura tecnologica. Molti datori di lavoro potrebbero temere di perdere informazioni personali che ritengono essenziali per valutare il candidato, e potrebbero quindi essere riluttanti ad adottare soluzioni di anonimizzazione. Inoltre, la personalizzazione dei processi di selezione, che molte aziende ritengono fondamentale, potrebbe entrare in conflitto con la necessità di mantenere l’anonimato durante la valutazione.
Inoltre, l’adozione di strumenti tecnologici per l’anonimizzazione dei CV comporta costi aggiuntivi, che potrebbero risultare difficili da sostenere per le piccole e medie imprese. Infine, le normative sulla privacy, come il GDPR, pongono ulteriori sfide nella gestione e protezione dei dati sensibili dei candidati.
L’esperienza di altri paesi: modelli di inclusione
Alcuni paesi, come la Finlandia e il Regno Unito, hanno già introdotto politiche di selezione anonime, ottenendo risultati positivi in termini di inclusività e diversità. In queste nazioni, l’adozione di pratiche di selezione che non rivelano le informazioni personali del candidato si è dimostrata efficace nel ridurre le discriminazioni legate a razza, genere e età, promuovendo ambienti di lavoro più equilibrati.
Un esempio interessante è quello di CFC Big Ideas, che ha implementato un sistema di selezione completamente cieco, in cui il candidato rimane anonimo fino alla proposta di lavoro. Per fare ciò, vengono utilizzati strumenti come avatar e tecnologie che distorcono la voce.
Questi approcci hanno dimostrato che è possibile ridurre i pregiudizi e garantire pari opportunità. Sebbene l’adozione di questi sistemi in Italia sia ancora limitata, cresce la domanda di pratiche di selezione più trasparenti e eque. Si spera che, nel prossimo futuro, anche il nostro paese possa seguire l’esempio di altre nazioni, adottando politiche di assunzione più inclusivi e giusti.