Un’ombra sinistra si allunga sulla libertà di stampa e sul diritto alla privacy in Serbia: un nuovo rapporto di Amnesty International appena pubblicato getta una luce inquietante sulle attività di sorveglianza condotte dalle autorità serbe nei confronti di giornalisti e attivisti.
Secondo le indagini condotte dall’organizzazione per i diritti umani, funzionari governativi della Serbia avrebbero installato degli spyware sui telefoni cellulari di decine di cittadini, violandone in modo sistematico la privacy e intralciando il loro lavoro di informazione critica.
Le prove digitali forensi, raccolte e analizzate da esperti di sicurezza informatica insieme alle testimonianze dirette delle vittime, offrono un quadro allarmante di un’attività di sorveglianza di massa.
Lo spyware utilizzato nelle operazioni di spionaggio è stato progettato per infiltrarsi nei dispositivi mobili e consentire al governo serbo di accedere a una vasta gamma di dati personali, tra cui messaggi, chiamate, posizione geografica e informazioni sensibili.
Le vittime, tra cui il giornalista indipendente Slaviša Milanov, hanno riferito di aver subito intrusioni nei propri dispositivi, caratterizzate da rallentamenti anomali, consumo eccessivo della batteria e malfunzionamenti inspiegabili.
In particolare, il report ha portato alla luce l’utilizzo di un sofisticato spyware, denominato “NoviSpy“, in un’operazione facilitata dall’impiego di strumenti di sbloccaggio forense come Cellebrite, che ha sede in Israele.
A ciò si aggiunge il ricorso allo spyware Pegasus, sviluppato dalla società israeliana NSO Group e già coinvolto nel 2021 in uno scandalo che ha chiamato in causa governi di tutto il mondo intenti a spiare illegalmente giornalisti, attivisti per i diritti umani, politici di opposizione e altre figure chiave della società civile.
«Le prove tecniche suggeriscono che decine, se non centinaia, di dispositivi sono stati presi di mira dagli spyware in Serbia negli ultimi anni. L’intera portata del targeting probabilmente si estende oltre il mirino illegale della società civile.»
Un clima di paura e intimidazione
Le indagini di Amnesty International hanno evidenziato come le operazioni di sorveglianza siano state condotte in modo mirato e sistematico, colpendo principalmente giornalisti e attivisti che si occupano di temi delicati come la corruzione, il crimine organizzato e le relazioni con il potere.
Questa non è una novità ma si inserisce in un ambiente ben noto per la sua sorveglianza digitale e repressione nei confronti della società civile, in particolare dopo le massicce proteste degli ultimi anni contro il Presidente Vučić, l’estrazione del litio e l’accordo con l’Unione Europea.
Le autorità serbe, attraverso una campagna diffamatoria orchestrata dai media statali e da alti funzionari, continuano a dipingere gli attivisti e le ONG come “nemici dello Stato”, accusandoli di essere al servizio di potenze straniere. Parallelamente, sono stati intensificati gli arresti arbitrari, le perquisizioni domiciliari e il sequestro di dispositivi elettronici. Gli attivisti intervistati da Amnesty International hanno denunciato l’uso di queste misure intrusive come strumento di intimidazione e controllo, piuttosto che come mezzo per indagare su reali reati.
Le accuse penali, spesso infondate e basate su attività legittime come la partecipazione a manifestazioni pacifiche o la pubblicazione di post sui social media, sono state utilizzate per silenziare le voci critiche e scoraggiare la partecipazione alla vita pubblica. Questa crescente restrizione delle libertà fondamentali – possibile anche perché gli strumenti utilizzati non sono ancora normati a dovere – solleva seri interrogativi sulla compatibilità delle politiche serbe con gli standard democratici europei.
«Questa forma di repressione digitale crea un clima di paura e intimidazione che ha un impatto profondo sulla società civile […] I giornalisti e gli attivisti sono costretti a operare in un ambiente ostile, dove la loro sicurezza e la loro privacy sono costantemente minacciate».
Le reazioni di fronte a questa violazione dei diritti umani
Le rivelazioni di Amnesty International hanno suscitato forti reazioni a livello internazionale: diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani e i governi di alcuni Paesi hanno condannato fermamente le pratiche di sorveglianza illegale condotte in Serbia.
L’Unione Europea, che ha avviato un processo di adesione con Belgrado, ha espresso profonda preoccupazione per queste violazioni dei diritti fondamentali e ha chiesto al governo serbo di condurre un’indagine trasparente e approfondita.
D’altro canto, le aziende produttrici di software di sorveglianza si sono difese dalle accuse di aver facilitato la violazione dei diritti umani in Serbia, ribadendo il loro impegno per un uso legale e etico delle proprie tecnologie. Tutte le società hanno sottolineato che i loro prodotti sono destinati esclusivamente alle forze dell’ordine per indagini legittime e che qualsiasi uso improprio è in violazione dei loro accordi di licenza.
NSO Group, in particolare, ha affermato di prendere sul serio le accuse di abuso e di aver avviato indagini interne. Tuttavia, Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani continuano ad esprimere preoccupazione riguardo alla possibilità che questi strumenti sofisticati possano essere utilizzati per scopi illeciti.
Le rivelazioni sul caso serbo hanno riacceso il dibattito sulla necessità di una regolamentazione internazionale più stringente del mercato dei software spia, oltre che sulla morsa sempre più aggressiva che il governo del Paese detiene sui propri cittadini.
Le raccomandazioni di Amnesty
La scoperta di questo vasto sistema di sorveglianza pone una serie di interrogativi sulla trasparenza delle istituzioni serbe e sul rispetto dei diritti fondamentali: è fondamentale che il governo prenda provvedimenti immediati per porre fine a queste pratiche illegali e garantire la protezione dei cittadini.
Inoltre, è necessario rafforzare la legislazione in materia di privacy e sicurezza informatica, al fine di prevenire future violazioni e garantire che le autorità agiscano nel rispetto dei diritti fondamentali. Per questo motivo, Amnesty International suggerisce delle modifiche a numerose leggi, tra cui lo stesso Codice penale.
La comunità internazionale deve continuare a esercitare pressioni sul governo serbo affinché rispetti gli standard e i valori internazionalmente riconosciuti: in particolare, l’Ue dovrebbe garantire che il suo impegno con le autorità serbe venga utilizzato per promuovere le riforme e il rispetto di principi come la rule of law, sia nella legge che nella pratica.
In definitiva, le rivelazioni di Amnesty International segnano un nuovo capitolo nella storia della sorveglianza di massa in Europa. La Serbia si trova di fronte a una sfida cruciale: scegliere se proseguire sulla strada della repressione e della violazione dei diritti umani, oppure impegnarsi in un processo di riforma democratica e di rispetto dello Stato di diritto.