Il caso Mangione è forse l’affaire mediatico più virale degli ultimi tempi, e si sa, più una storia prende piede tra il pubblico, più è difficile distinguerne i tratti originali, confondendo la realtà con la finzione. Da questa confusione e dai tratti da film hollywoodiano della vicenda si sono presto sviluppate sul web trame del complotto, intrighi e teorie numerologiche.
Meglio di un conspiracy thriller
Luigi Mangione, come sappiamo, è il 26enne che il 4 dicembre avrebbe ucciso con tre colpi di pistola alla schiena il CEO di Unite Healthcare Brian Thompson. Unico accusato per l’omicidio, Mangione è attualmente detenuto nel carcere di Huntington in Pennsylvania in attesa di capire quando verrà trasferito nello Stato di New York per il processo.
Dietro di sé, oltre all’omicidio diremmo simbolico, politico di Thompson, Mangione ha lasciato una serie di tracce per tessere su di lui il personaggio perfetto per la trama di un thriller, o meglio, di un conspiracy thriller: dalle foto e video che mostrano tutta la sua innocenza, ai suoi post sui social, al taccuino in cui avrebbe annotato il suo piano di giustizia privata, alle pallottole ritrovate sulla scena del delitto marchiate con l’indelebile con le parole “Deny, Delay, Depose” (“negare, rimandare, eliminare”, il motto delle compagnie assicurative condannato da Mangione). Un pollicino che ha lasciato, briciola dopo briciola, tutti gli elementi perché il pubblico capisse il suo gesto e potesse indentificarvisi, creando un mito del moderno vendicatore.
Nella storia di Luigi Mangione ci sono tutti gli ingredienti per una buona trama narrativa: c’è l’intrigo, il mistero, il senso di ingiustizia, la vendetta personale ma al contempo collettiva, la denuncia al sistema, la lotta di classe, i poveri che la fanno vedere ai ricchi in una vicenda da serie Netflix alla Casa di carta, o da film come Giustizia privata.
I berretti verdi di Luigi, il compagno di Supermario, andati sold-out per omaggiare e appoggiare simbolicamente il killer ricordano le scene della nota serie spagnola in cui tutti scendono in piazza con le maschere di Salvador Dalì a protestare a favore dei ladri di banche.
Così l’atto criminale diventa un atto di protesta, il grido di guerra di un singolo che si prende la responsabilità di rappresentare la rabbia di tutti.
Tutto prende l’ordine di una trama narrativa. Ed è dietro a quest’ordine che si nasconde il segreto del fascino per i complottismi.
Complots: Perché tanto fascino per le teorie del complotto?
Il termine inglese “complot” contiene in sé una valida spiegazione del perché i complotti ci affascinino tanto: è la parola “plot”, dall’inglese “trama”. Il fascino delle teorie del complotto si cela infatti in questo: esse non sono teorie plausibili in senso scientifico, ma racconti che organizzano la realtà in strutture narrative per dare un senso e un ordine ad eventi caotici o incomprensibili.
Di base, quello di organizzare la realtà in modi, per così dire, narrativi è uno strumento cognitivo di tutti gli esseri umani che, per capirla meglio, la inseriscono in strutture inventate dandole un ordine cronologico, spaziale, matematico per ordinare e capire la nostra esperienza del mondo. Il nostro amore per la fiction deriva da questo: dall’illusione di ordine che una bella trama ci offre con la possibilità di immaginare e simulare mentalmente (attraverso film, libri o serie tv) diversi scenari.
Questo fascino per le narrazioni fittizie, di base strumenti dell’essere umano per capire meglio il mondo, può sfuggire di mano se esse vengono confuse con la realtà stessa. Se dunque si legge la realtà cercandovi all’interno una trama, un ordine nascosto, delle connessioni (anche inverosimili), ecco che ne risulterà un complotto col quale spiegare tutto ciò che altrimenti rimarrebbe difficile da comprendere o da accettare.
L’esasperazione paranoica di questo processo è poi quella di sospettare sistematicamente, anche di fronte alle notizie più chiare e scientificamente comprovate, che ogni evento raccontato sia in realtà una menzogna pianificata a tavolino da gruppi potenti che, appunto, tramano contro tutti per i propri interessi.
Ermetismo e numerologia
Come si inventa una trama del complotto? Seguendo le regole della tradizione ermetica, che no, non ha nulla a che fare con Ungaretti. Il pensiero ermetico è una corrente mistico-filosofica sviluppatasi intorno al II secolo che, in parole poverissime, sostiene che nulla è come appare, che la verità è sempre nascosta e per trovarla è necessario mettere in dubbio e iper-interpretare tutto.
Rispettando questa tradizione, le trame del complotto attuali prendono documenti, testi, segni anche evidenti, e li smontano, li iper-interpretano per cercarvi all’interno connessioni che giustifichino le loro teorie. E le trovano, perché forzando le interpretazioni tutto può essere connesso a tutto. È la regola dell’oroscopo: indipendentemente da cosa io legga, se ci voglio credere, sono io ad interpretare gli eventi della mia vita affinché combacino con ciò che è descritto nel pronostico della settimana (e fondamentalmente anche un acquario può rivedersi nelle previsioni del leone, basta voler cercare le connessioni giuste con la propria vita).
Lo stesso vale per quella branca dell’esoterismo che è la numerologia: i numeri non sono dei meri valori matematici, ma devono avere un senso, una qualità, un impatto spirituale sulle nostre vite. Tale impatto è dimostrato dalle coincidenze che i numeri possono creare: possono essere magicamente e allegoricamente connessi (il 3 è un numero sacro e quindi lo sono anche il 6 e il 9 e così via), ritornano sempre in un modo o nell’altro (sottraendo, moltiplicando, sommando a piacere), mostrano insomma sempre, se interpretati come si deve, un ordine nascosto, ermetico appunto.
Le paranoie numerologiche sull’11 settembre ne sono state un esempio. Secondo i complottisti dell’epoca, ogni cosa (da loro preselezionata) coinvolta nell’attacco alle torri gemelle era una premonizione mistica, perché tutto era collegato al numero 11: New York City, Afghanistan, George W Bush hanno 11 lettere, le due torri gemelle formano un 11, il volo n° 11 portava 92 passeggeri. 9+2=11, l’11 settembre è il giorno n° 254 nel calendario dell’anno, 2+5+4=11 e così via cabbaleggiando.
Chiaramente ogni riferimento al numero è scelto a tavolino per sollevare delle coincidenze che formino una trama, un ordine nella vicenda. Occorre quindi aggiungere City a New York affinché il risultato dia 11 lettere, ci si riferisce all’Afghanistan ma i terroristi non erano solamente afghani, nel numero di passeggeri non si contano i membri dell’equipaggio e si potrebbe continuare.
Il caso Mangione e i numeri che ritornano
Un evento di tale risonanza mediatica non poteva non svegliare complottista che dorme. L’enigma nasce dal fatidico McDonald’s in Pennsylvania in cui Mangione è stato arrestato. Per i più attenti un dato non privo di significato che celerebbe una serie di coincidenze numerologiche: il fast-food si troverebbe infatti a 286 miglia da Manhattan, 286 come il numero dei suoi post su X, 286 come il numero del pokemon Breloom che si vede sulla sua immagine di copertina, 286 come il “denial code”, il codice di rifiuto di rimborso per le spese sanitarie delle compagnie assicurative americane.
Giustamente c’è chi è andato a controllare i Testi Sacri, et voilà, al versetto 28:6 dell’Antico Testamento si legge: “È meglio un povero che cammina nella sua integrità che un ricco che è storto nelle sue vie“, un ovvio riferimento alle ragioni del crimine di Mangione.
Come insegnava un gran complottista del mondo del thriller: “I collegamenti possono essere invisibili, ma ci sono sempre, sepolti appena sotto la superficie“ (Dan Brown, Il codice Da Vinci). E chissà che queste briciole di coincidenze trovate dagli Sherlock Holmes da tastiera, non siano, questa volta per davvero, gli elementi lasciati da Mangione per fare della sua storia una trama da thriller.
Alessia Cancian