Usa, Elon Musk sta per intraprendere una dura battaglia contro la burocrazia. Ma davvero l’amministrazione pubblica è solo un costo da abbattere?
Efficienza economica vs burocrazia
Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo può avere nel mondo, vedo
una folla di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari […] Al di sopra di
essi si eleva un potere immenso e tutelare […] È assoluto, particolareggiato, regolare,
previdente e mite. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e
regolatore. […] Tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro
successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di
pensare e la pena di vivere?
Queste parole, che sono tratte dall’opera più celebre del filosofo Alexis Tocqueville, La
democrazia in America, furono scritte nel lontano 1831, ma potrebbero facilmente
diventare il manifesto della politica economica del nuovo governo Trump, che ha il brillante
volto del magnate dell’industria tecnologica Elon Musk – nominato a capo del Doge
(Department of Government Efficiency) dopo l’exploit di Trump alle elezioni presidenziali
dello scorso 5 novembre.
In effetti, verso l’amministrazione pubblica Musk ha espresso a più riprese un risentimento del
tutto analogo a quello di Tocqueville, con un piglio che gli è valso il nome di “capo
disruptor” del nuovo esecutivo.
In nome dell’efficienza economica, infatti, Musk intende introdurre un taglio quasi
impensabile – duemila miliardi di dollari – nella spesa pubblica. Lo scopo, secondo Trump,
è “smantellare la burocrazia governativa, tagliare le normative eccessive , tagliare le spese
inutili e ristrutturare le agenzie federali, essenziali per il movimento Save America“.
I retroscena della politica economica di Musk
Questi obiettivi sono in perfetta sintonia con il già molto discusso Piano 2025, che,
sviluppato dalla Heritage Foundation e pubblicato nel 2022, disegna l’agenda politica che
dovrebbe caratterizzare il perfetto governo repubblicano del futuro – almeno secondo le
teorie neo-liberali della destra americana più conservatrice.
Il principio di metodo essenziale per conseguire ogni altro punto del programma, infatti, è
l’estensione dell’autorità presidenziale al di là dei limiti imposti dal Congresso e dalle
agenzie federali indipendenti. E per costruire una presidenza imperiale di questo tipo
occorre somministrare all’amministrazione pubblica una dieta fortemente restrittiva, che è
esattamente ciò che Musk intende fare.
Di conseguenza, Musk gioca un ruolo fondamentale nel quadro dei desiderata del nuovo
governo: tanto che Trump ha potuto celebrare senza alcun imbarazzo, insieme alla sua nomina, anche l’abnorme conflitto di interessi che lo contraddistingue; presentando fin da subito,
sotto l’invisibile veste del funzionario pubblico, la nudità degli interessi multimiliardari
dell’amministratore delegato più potente del mondo, capo delle multinazionali Tesla e
SpaceX.
Tanto che è passato in sordina anche lo scontro aperto tra la cultura aziendalista che
Musk si prepara a impiantare nel campo scoperto dell’amministrazione pubblica, da un
lato, e l’etica del lavoro e dell’economia che si intravede sullo sfondo dell’agenda America
First – cavallo vincente di Trump nella sua battaglia elettorale – dall’altro.
In effetti le politiche sociali che costituiscono il cuore pulsante del programma sintetizzato
con l’accattivante slogan “America First” mirano a migliorare le condizioni di lavoro in cui
vivono gli elettori di Trump che appartengono alla classe operaia, e che, più o meno
persuasi dalla sua visione estremista, hanno eletto il futuro Presidente soprattutto per
denunciare il fallimento della politica democratica degli ultimi 30 anni.
Tuttavia i loro interessi sarebbero i primi a soccombere nella corsa sfrenata del libero mercato in cui
Musk si prepara a gareggiare: non è difficile, perciò, comprendere le ragioni delle proteste
che si sono sollevate dalla parte repubblicana che durante la campagna elettorale si è
schierata a favore dei lavoratori proletari, attirandosi persino la simpatia di certi sindacati –
come l’International Brotherhood of Teamsters, il più grande sindacato statunitense degli
autotrasportatori.
L’effetto dei tagli sull’amministrazione pubblica nell’Argentina di Milei
Queste proteste non risultano certo ingiustificate, se si guarda agli effetti che una simile
dirompenza politica ha avuto in Argentina, da quando Javier Milei ha calato la sua
motosega anarco-capitalista sugli apparati burocratici del Paese, dove ad agosto si è
raggiunto il tasso annuale di inflazione più alto del mondo, pari al 236,7%.
Secondo un recente rapporto dell’ISPI dopo quasi un anno dall’ascesa del flagello Milei l’inflazione è diminuita, il saldo pubblico è migliorato, e il PIL dovrebbe ricominciare a segnare un + nel 2025. D’altro canto la percentuale di poveri – che ha raggiunto il 52,9% dopo i primi 6 mesi del nuovo governo – è la più alta degli ultimi 20 anni, e la diseguaglianza socio-economica è cresciuta di pari passo.
Quindi, mentre l’efficienza fiscale è un dato sempre più consolidato, la parte più debole
della società argentina sprofonda progressivamente nel cono d’ombra delle privatizzazioni,
delle deregolamentazioni e delle restrizioni, che per favorire gli attori economici più potenti
depauperano gli standard di vita dei più vulnerabili.
Alla ricerca delle cause storiche dei malfunzionamenti amministrativi
Del resto basterebbe risalire alle ragioni storiche che motivano l’istituzione delle cosiddette
agenzie – ossia gli enti statali più o meno indipendenti che si occupano di amministrare i
servizi pubblici e sociali – per comprenderne l’importanza come garanti dei diritti sociali e
civili che costituiscono l’humus di ogni reale democrazia.
Certo, l’amministrazione pubblica è anche la principale artefice della gabbia di cavilli e
procedure burocratiche che funesta la vita di ogni cittadino contemporaneo: ma, del resto, la complicazione dei regolamenti è soprattutto il frutto più maturo della progressiva
democratizzazione dell’operato delle agenzie, che in America è iniziata ufficialmente con la
ratificazione, nel 1946, dell’Administrative Procedure Act (APA).
Si tratta di una legge federale sul procedimento amministrativo, che prevede due modelli
di processi decisionali – il rulemaking e l’adjudication – finalizzati a produrre norme
ragionevoli e imparziali rispettando i valori costituzionali di legalità, trasparenza e
partecipazione civica.
La partecipazione civica in particolare è l’architrave di questi due procedimenti
amministrativi, che, in modi diversi, si basano sull’esigenza di coinvolgere tutte le persone
interessate dall’attività regolativa in corso, rappresentando adeguatamente i loro interessi
privati e collettivi. Tuttavia, nel tempo si sono moltiplicati i soggetti legittimati a partecipare
al procedimento per via di interessi anche non sanciti dalla legge; cosicché l’attività
amministrativa è diventata sempre più democratica, ma anche più lenta e costosa, oltre
che complessa.
Un’altra causa molto diffusa della sofferenza burocratica è il cosiddetto “interventismo
legislativo“, ossia il debordamento del potere legislativo negli spazi di decisione
dell’amministrazione pubblica, i quali vengono invasi da un “amministrare per legge“; che
richiede continui interventi correttivi per adattare le leggi alla realtà sociale in mutamento,
con l’effetto di produrre norme sempre più analitiche e tortuose.
A tal proposito, Elon Musk deve avere molto gradito una sentenza della Corte Suprema
americana del giugno 2023, che limita l’indipendenza delle agenzie riportandole sotto l’autorità del Congresso. Essa infatti facilita l’abbattimento dei regolamenti amministrativi che danno più fastidio alla liberalizzazione del mercato e ai tecnofili Silicon Valley: quelli sull’educazione, l’ambiente e la politica economica emessi dalle agenzie civili.
Tuttavia, secondo il costituzionalista Sabino Cassese “l’amministrazione per legge e il
governo delle procure […] negano in radice la possibilità di una buona gestione pubblica,
che invece avrebbe bisogno di competenza tecnica, flessibilità operativa, riconoscimento
sociale“.
Una soluzione alternativa verso l’efficienza economica dell’amministrazione pubblica
Forse, allora, per avvicinare gli apparati amministrativi all’efficienza economica
occorrerebbe anzitutto implementare e migliorare le procedure di partecipazione e
trasparenza che, con il loro peso costituzionale, già caratterizzano – sebbene in modo
sempre meno incisivo – la pubblica amministrazione americana, limitando la corruzione e
le pressioni degli attori più forti prima che l’America diventi ancora una volta vittima della
dittatura invisibile e brutale del libero mercato.
Perché, come afferma Tocqueville nella conclusione del suo scritto, la burocrazia, che
“ostacola, comprime, snerva” i contemporanei, è un male necessario della democrazia, e
l’unico modo per tenerla a bada – magari perfino utilizzandola a proprio vantaggio – è partecipare attivamente alla vita politica, senza lasciarsi assorbire dalla tendenza alla
spoliticizzazione e a un benessere tutto individualistico.