Dopo 45 anni di assenza, negli scorsi giorni Janusz Waluś è tornato in Polonia in seguito al rilascio per buona condotta avvenuto nel 2022. L’uomo era stato condannato all’ergastolo negli anni ’90 per aver assassinato il leader sudafricano anti-apartheid Chris Hani. Il dibattito intrinsecamente politico sulla vicenda ora si rinnova di nuovi spunti, polemiche e rivelazioni.
Le foto di Janusz Waluś all’aeroporto di Varsavia, scattate qualche giorno fa, hanno ormai fatto il giro del web e il mondo è ritornato a parlare di un caso avvenuto a Johannesburg nel 1993: quello dell’omicidio di Chris Hani, considerato il volto del comunismo sudafricano e uno dei personaggi di spicco della lotta alla segregazione razziale.
Una vicenda dimenticata
Originario della città di Zakopane nel sud della Polonia, nel 1981 Janusz Waluś è emigrato in Sudafrica per seguire l’impresa economica di famiglia. Successivamente al fallimento di quest’ultima, Waluś si avvicina agli ambienti politici di estrema destra e diventa membro effettivo del AWB, partito noto per il suo sostegno all’ideologia del suprematismo bianco e del separatismo razziale.
Il 10 aprile del 1993, Janusz Waluś sparò a sangue freddo Chris Hani nella sua casa di Boksburg: l’uomo era Segretario Generale del Partito Comunista Sudafricano e capo dell’ala armata dell’ANC.
In breve tempo, Waluś fu riconosciuto e arrestato, insieme al politico membro del Partito Conservatore Clive Derby-Lewis, noto razzista vicino agli ideali neonazisti, in quella che sembra essere a tutti gli effetti una cospirazione causata dallo spettro del comunismo, capace di seminare terrore e violenza tanto in Polonia quanto in Sudafrica.
Inizialmente condannato alla pena di morte, quando questa fu abolita in Sud Africa, la sentenza di Janusz Waluś venne trasformata in ergastolo: l’uomo aveva in precedenza rinnegato qualsiasi suo coinvolgimento nella vicenda ma ben presto l’investigazione portò alla luce un complotto politico che aveva tra i suoi target anche lo stesso Nelson Mandela e Joe Slovo.
Walusz ha infatti dichiarato in seguito:
«L’intento dell’assassinio era quello di far precipitare il Paese in uno stato di caos che avrebbe permesso alla destra di prendere il sopravvento […] L’ho fatto per il PC e per impedire ai comunisti e ai radicali di prendere potere in questo Paese, come invece è successo in Polonia.»
Questo si spiegherebbe anche alla luce della competizione politica tra l’ANC e il partito di Derby-Lewis, che secondo le previsioni avrebbero dominato le elezioni del 1994.
L’assassinio di Hani ha gettato le maggiori città del Paese in una spirale di rivolte e violenza, facendo cadere una nazione già instabile e piena di tensioni sull’orlo di una guerra civile e razziale – ciò ha spinto Mandela a lanciare un imminente appello di pace:
«L’omicidio a sangue freddo di Chris Hani ha scatenato onde d’urto in tutto il paese e nel mondo. Ora è il momento per tutti i sudafricani di unirsi contro coloro che, da qualsiasi parte, desiderano distruggere ciò per cui Chris Hani ha dato la vita: la libertà di tutti noi.»
L’immigrato polacco, detenuto per circa 30 anni al carcere di massima sicurezza di Pretoria, ha più volte chiesto l’amnistia e il rilascio per buona condotta: dopo che gli sono state negate per anni, nel 2022 gli è stata concessa la libertà vigilata. Per essere deportato in Polonia, ha dovuto accettare la sospensione della cittadinanza sudafricana.
Eroe dell’anti-comunismo o spietato assassino razzista?
Il ritorno in patria di Waluś è stato celebrato da una grossa fetta dell’opinione pubblica polacca sui social media, oltre che da parte dell’arena politica di destra: ad accoglierlo al suo arrivo a Varsavia sono stati il gruppo neo-nazista Bad Company e Grzegorz Braun, esponente di spicco di Konfederacja Wolność i Niepodległość.
Infatti, l’omicida di Hani è stato definito da molti polacchi come un “esempio di lotta al comunismo” e come “un uomo che è arrivato ad uccidere per difendere la libertà di pensiero tipica di una reale democrazia”: questo non è altro che l’ennesimo tassello di un’operazione di demonizzazione del comunismo che la nazione polacca sta costruendo ormai da anni a regola d’arte, avvallata in primis dallo stesso PiS.
L’esaltazione della figura di Janusz Waluś è anche sintomo del razzismo latente in Polonia, che sembra condannare i criminali solo quando questi non sono bianchi.
In Sudafrica, invece, l’avvenimento è stato fortemente criticato, soprattutto in quanto avviene in mancanza di una piena chiusura della cospirazione che ha portato all’omicidio del leader comunista; anche la vedova di Hani ha chiesto a gran voce un responso alle numerose domande che rimangono ancora senza risposta.
In comunicato rilasciato qualche giorno fa, il SACP ha dichiarato:
«Chiediamo la piena divulgazione della verità sull’assassinio di Hani. Per ottenere questo, ci siamo opposti sia all’amnistia che alla libertà vigilata e abbiamo chiesto un’inchiesta per chiudere il caso […] La giustizia rimane incompleta e la famiglia Hani, il SACP e la classe operaia continuano a soffrire la dolorosa assenza di una conclusione. Mentre i razzisti e gli esponenti della destra in Sudafrica e Polonia possono considerare Waluś il loro eroe, egli è un assassino condannato che ha cercato di difendere la perpetrazione del regime razzista dell’apartheid e delle sue relazioni sociali […] Non ci fermeremo finché non verrà scoperta la verità, non verrà fatta giustizia e i valori rivoluzionari per cui Hani si è battuto non saranno pienamente realizzati.»
Nel Paese sembra poi essersi aperto un nuovo dibattito che compara questa vicenda alla situazione dell’ex Presidente Jacob Zuma, attualmente in prigione per corruzione e oltraggio alla giustizia.
Permangono gli interrogativi e le polemiche ma una cosa resta certa: la strumentalizzazione politica di Waluś per giustificare l’inaccettabile razzismo e l’endemica paura del comunismo da parte della Polonia.