Dal Mozambico a Trieste. Da Trieste in tutto il mondo. La tecnica delle “mamme canguro” compie vent’anni e celebra il proprio successo internazionale con due giorni di convegno al Teatro Miela.
Si sta pelle a pelle, come del resto si fa nei primi venti minuti dopo un parto a termine. Mamma e figlio, nel più antico e primordiale degli abbracci, quello che inizia il piccolo al suo immenso mondo. L’odore della mamma, il contatto con la fonte di nutrimento e di vita. Il legame ancestrale che unisce per sempre due vite.
Ma si sta pelle a pelle anche per evitare lo stress di un’incubatrice. Perché è con il contatto della pelle, come – appunto – fanno le mamme canguro con i propri cuccioli caldamente allevati nella sacca, che i piccoli crescono. Questa volta, l’innovazione non sovrasta la natura ma la imita, rubandole qualche piccolo trucco. E così le mamme canguro umane, che la sacca non ce l’hanno, mettono a disposizione anche per ventiquattro ore al giorno la propria pelle, il proprio calore, ai loro piccoli nati pre termine, affinché crescano sani e coccolati. Il neonato viene placidamente accomodato tra la pancia e il seno materno, guadagnando molte più possibilità di sopravvivere e bene.
La Kangaroo Mother Care (KMC) nasce negli anni ’70, in Mozambico, dove di incubatrici non ce n’è mai a sufficienza. Succede che l’efficacia del metodo si traduca subito in evidenti risultati, che diventano oggetto di studio. Succede anche che il Centro Collaboratore con l’OMS per la Salute Materno Infantile dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste sia tra i primi presenti in Mozambico, a studiare da vicino queste amorevoli incubatrici naturali. Da qui, la decisione di elaborare strategie mirate alla diffusione internazionale del metodo e le conseguenti ricerche scientifiche. Dagli anni ’70 si arriva al 1996, anno in cui i risultati delle ricerche vengono divulgati in occasione del primo International Network on KMC e il Busto Garofolo traccia le prime linee guida per l’applicazione del metodo su scala internazionale.
A vent’anni esatti ci si ritrova ancora una volta a Trieste, al Teatro Miela, dove è iniziato oggi e terminerà domani il convegno dedicato alle mamme canguro. Circa duecento partecipanti, provenienti da 38 diversi Paesi, sono protagonisti del congresso. Accanto a loro, fondazioni di rilevante importanza come l’OMS, l’Unicef, Save the Children e la Fondazione Bill e Melinda Gates. Dal Mozambico all’Italia, dove Trieste ha letteralmente trainato il pianeta, medici, ostetrici, infermieri, psicologi e funzionari ministeriali di tutto il mondo si sono trovati qui, al Miela, con la precisa volontà di diffondere e praticare questo metodo tanto naturale, quanto amorevole ed efficace.
I bimbi prematuri sul ventre materno non solo crescono, ha spiegato l’epidemiologo Adriano Cattaneo, ma – dopo attente valutazioni quando i bimbi sono più grandi – riescono ad avere un maggiore equilibrio metabolico e imparano a respirare meglio. Nei Paesi più poveri, il tasso di mortalità è stato ridotto del 40% grazie alle mamme canguro. Naturalmente, ci sono anche i papà canguro così come i nonni canguro, che si avvicendano distesi su una poltrona reclinabile o – se il piccolo ha gravi problemi respiratori – sdraiati su un letto, pronti a venire in aiuto del proprio bambino. Di certo una pratica non solo più naturale, ma anche più economica. L’unico “macchinario” richiesto è una fascia di tela o una borsa di lycra.
L’incubatrice è uno stress per il neonato, a causa della posizione, del rumore e dei disturbi che ne conseguono. A giudicare dalla quantità di Paesi che hanno già sostituito le incubatrici con le mamme canguro, l’Italia resta indietro nonostante la leadership nella divulgazione del metodo su scala mondiale. Questo perché, come ha specificato Cattaneo su http://ilpiccolo.gelocal.it/, “per poter usarlo bisogna che la terapia intensiva sia aperta ai genitori almeno 12 ore al giorno”. Se non altro, grazie ai medici e ricercatori del Busto Garofolo di Trieste, la KMC è entrata a pieno titolo nel documento ufficiale contenente gli interventi sicuri, miranti a ridurre la mortalità neonatale.
Alessandra Maria