L’Albania, diventata una popolare meta turistica, affronta la sua crisi di manodopera con lo sfruttamento dei lavoratori stagionali. Molti stranieri, attirati da promesse di lavoro, si trovano ad affrontare abusi, contratti irregolari e condizioni di lavoro difficili, mentre il turismo continua a crescere senza controllo.
Iperturismo in Albania
L’Albania ha conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo del turismo senza precedenti, fino a diventare una delle mete più visitate in Europa. Influencer e travel blogger hanno contribuito alla sua popolarità condividendo le sue bellezze naturali, la sua cultura e la sua, almeno per adesso, accessibilità economica. Anche il turismo di tipo medico è stato trainato dalla visibilità sui media e dai prezzi competitivi. Parte della strategia comunicativa albanese è stata portata avanti dai media italiani, impegnati ogni estate a decantare l’ospitalità balcanica e i numeri record di presenze.
In un paese da sempre gravato da debolezza economica e disparità, il boom del turismo è parso come una manna dal cielo. Il Governo ha spinto il settore attraverso finanziamenti, costruzione di infrastrutture e agevolazioni ai privati e ai capitali esteri. Tuttavia, come ben sa chi vive in una città vittima dell’iperturismo, tutto questo non si traduce sempre in benessere.
A fronte di una popolazione di poco più di due milioni e mezzo di abitanti, gli otto milioni di arrivi paiono insostenibili. A pagarne il prezzo è prima di tutto l’ambiente: perdita di biodiversità, inquinamento delle acque, crescita esponenziale di rifiuti; ma anche le comunità locali non hanno tratto beneficio dal boom del turismo e la tanto prospettata ricchezza non le ha raggiunte. C’è però un aspetto ancora più oscuro di questo sviluppo: lo sfruttamento dei lavoratori stagionali.
Da dove arriva la manodopera in Albania?
L’Albania è uno dei luoghi più poveri dell’Europa e egli ultimi dieci anni ha perso il 60% della popolazione nata dopo il 1990. Questo, unito al boom turistico, ha portato a una fortissima carenza di forza lavoro, specialmente nei settori dei servizi, alimentando il problema dello sfruttamento dei lavoratori stagionali. Al posto di cercare un freno all’emigrazione, il Governo ha reso più semplice il reclutamento della forza lavoro da paesi ancora più poveri come quelli africani.
Le agenzie del lavoro
Come interfaccia tra lavoro e lavoratori sono sorte agenzie di intermediazione che, in cambio di lauti compensi, promettono contratti annuali e permessi di soggiorno. I lavoratori e le lavoratrici pagano tra i 1000 e i 2000 euro per raggiungere l’Albania, ma una volta arrivati vengono abbandonati in un paese sconosciuto e nelle mani di datori di lavoro non sempre trasparenti. BIRN (Balkan Investigative Reporting Network) ha prodotto un’inchiesta sul fenomeno, raccogliendo le testimonianze sullo sfruttamento dei lavoratori stagionali in Albania che mandano avanti il turismo.
«La vita lì è come in un carcere, eravamo come in carcere»
La prima testimonianza è di Ochen (il nome è di fantasia), un’estetista dell’Uganda a cui era stato promesso un compenso maggiore di quello percepito nel suo paese d’origine e un permesso di soggiorno. Tuttavia, la donna sostiene di essere tornata a casa piena di debiti a causa di straordinari non pagati, ma soprattutto di essere scappata davanti alle pesanti restrizioni della libertà a cui è stata costretta.
I datori di lavoro, tutte strutture ricettive di lusso o quasi, confiscano i documenti ai lavoratori sin dal loro arrivo, costringendoli e isolandoli entro i confini dei resort. Se devono andare in banca o dal dottore qualcuno li accompagna portando i documenti. BIRN ha constatato che i lavoratori in queste condizioni sono centinaia e subiscono anche discriminazioni e minacce. A molti di loro vengono cancellati i contratti prima della scadenza e vengono espulsi dal paese.
L’Ispettorato del Lavoro considera la confisca del passaporto un reato grave, paragonabile al sequestro di persona, ma non può intervenire senza una precedente denuncia penale. È chiaro come in assenza di documenti e in un paese sconosciuto e spesso ostile la strada della denuncia penale non venga percorsa dalle persone sfruttate.
I lavoratori africani cercano l’appoggio della Chiesa del Salvatore a Tirana, guidata dal pastore nigeriano Prince C. Mazie, da 16 anni nel paese. Mazie è stato sentito a lungo da BIRN e ha confermato le testimonianze raccolte. A suo dire il razzismo in Albania è minore rispetto a quello dei paesi vicini come Ungheria e Croazia, tuttavia, l’atteggiamento albanese pare incomprensibile: da sempre vittime di razzismo nei paesi europei in cui sono emigrati, gli albanesi sembrano ora fare lo stesso con i lavoratori stranieri.
Il pastore ha raccolto anni di racconti fatti di sfruttamento e violazione dei diritti, fino alla violenza. Licenziare è estremamente semplice, quindi basta un nonnulla per finire in strada ed essere espulsi. Ma non per tutti c’è una casa in cui tornare in Africa, infatti, le persone si indebitano nei loro paesi d’origine pur di raggiungere l’Albania, e una volta arrivati il sogno si trasforma in un incubo.
Tutte le strutture ricettive coinvolte sono state contattate da BIRN e hanno negato ogni accusa.
La questione dello sfruttamento dei lavoratori stagionali è uno degli aspetti più oscuri e ignorati dell’iperturismo. La tanto promessa ricchezza sarà anche stata prodotta, ma come sempre è rimasta nelle mani di pochissimi.