Nel 1823 veniva pubblicata una delle più celebri poesie natalizie, A visit from St. Nicholas, poesia destinata a cambiare per sempre la visione di Santa Claus nell’immaginario collettivo. Da personaggio storico, realmente esistito, egli diveniva, per mezzo dei versi, personaggio del diletto. A partire dagli anni 30 del ‘900, questi sarebbe andato incontro ad una metamorfosi ulteriore, tramutandosi in strumento volto al soddisfacimento di fini meramente economici.
Santa Claus è sempre stato reale. La finzione è quell’elemento di cui ci si è serviti, nel corso dei secoli, per preservare – arricchendola di magia – la suggestiva atmosfera delle origini e per rispondere alle esigenze di un’umanità che, di decennio in decennio, si scopriva bisognosa di nuove esigenze.
A visit from St. Nicholas: sulle orme del folletto in rosso
Correva l’anno 1821 quando Clement Clark Moore, insegnante di lingue e letterature straniere e studioso di teologia newyorkese, si apprestava a mettere nero su bianco i versi di A visit from St. Nicholas. Il componimento, altrimenti noto come Twas the Night Before Christmas o, più semplicemente, come The Night Before Christmas, era stato ideato dall’autore allo scopo di dilettare i propri bambini in occasione della vigilia di Natale, ed era, pertanto, destinato a nascere e a soccombere entro le mura domestiche.
La porta di casa Moore sarà, però, varcata quando la signorina Harriet – amica di famiglia – deciderà, ipnotizzata dal fascino di quei versi, di spedire la poesia al Sentinel Troy, quotidiano locale. Nel dicembre del 1823, il componimento troverà, di fatto – seppure ancora in forma anonima -, collocazione tra le pagine del giornale. A godere del piacere del racconto sarebbero stati in molti: chiunque avrebbe potuto assaporare la magia di quel Natale.
La poesia racchiudeva la descrizione – piuttosto dettagliata – della figura di Santa Claus. Era la prima volta che questi, pur preservando l’appellativo di San Nicola, veniva definito “elf”, e, dunque, “elfo” o “folletto”. Il personaggio cominciava ad assumere molti dei tratti caratteristici del Babbo Natale odierno: le sue guance erano rosse come rose, il naso ricordava le ciliegie ad aprile, la barba era candida come la neve, il pancione, rotondo rotondo, ballonzolava quand’egli rideva.
L’arzillo e gioioso vecchietto faceva la sua comparsa in compagnia di una schiera di renne. La figura dell’animale, quale compagno fedele di Santa Claus, era già stata introdotta da un componimento del 1821, A New Year’s Present, to Little Ones, from Five to Twelve, attribuibile a James K. Paulding o a J. Stanbury. Era, tuttavia, la prima volta che il folletto si circondava di una vera e propria squadra di renne, renne che, tra l’altro, egli chiamava per nome: a trainare la slitta erano, infatti, Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Cupido, Dander e Vixen.
Rudolph, la renna dal naso rosso cui tutti siamo affezionati, avrebbe fatto la sua comparsa più tardi: a delinearne i tratti sarebbe stata, solo nel 1939, la penna di Robert May.
Impellicciato dalla testa ai piedi, San Nicola balzava giù dal camino con in spalla un sacco ricolmo di giocattoli. Il riferimento ai doni, disposti all’interno di un carro – seppure non ancora trainato da renne -, era già stato introdotto, nel 1812, da Washington Irving, con la rivisitazione di un’opera, A History of New York, che aveva conosciuto la sua prima edizione nel 1809.
A History of New York: per una satira delle origini
L’opera di Irving preannunciava le tradizioni natalizie attualmente in uso negli Stati Uniti d’America. Allo scopo di dilettare il lettore, lo scrittore operava una satira della storia locale, facendosi beffa, perfino, del personaggio di San Nicola. Delle sembianze di Santa Claus non si intravedeva neanche l’ombra. Ci si avvaleva, al fine di “fare letteratura”, di un personaggio storico realmente esistito.
Facciamo, allora, un salto indietro e ritorniamo alle origini. La storia narra che un vescovo, operante nel VI secolo a Myra – oggi Demre, città dell’odierna Turchia -, avesse riportato in vita tre fanciulli che, per mano di un oste, erano andati incontro alla morte. L’impresa valse al vescovo l’appellativo di “Protettore dei bimbi” e lo rese noto in tutto il mondo. Il nominativo di “Santa Claus” sarebbe derivato da “Sinterklaas”, nome olandese di San Nicola.
San Nicola faceva, con Irving, la sua comparsa nel mondo della narrativa e si accingeva a compiere il suo trionfale ingresso nelle case di tutto il mondo. Cominciava a germinare quella metamorfosi che, da personalità della storia, lo avrebbe reso personaggio d’immaginazione.
Haddon Sundblom: Santa Claus tra l’utile e il dilettevole
Alla pubblicazione di Clement Clark Moore avrebbero fatto seguito decine e decine di pubblicazioni, pubblicazioni accompagnate da illustrazioni che, traendo ispirazione dalla descrizione realizzata dall’autore, avrebbero contribuito alla definizione dei canoni estetici del fabbricante di doni più famoso di tutti i tempi.
A ricalcare le orme di Moore sarebbe stato anche Haddon Sundblom, la cui matita avrebbe dato vita alla più moderna iconografia di Babbo Natale. Il disegnatore ne delineò, infatti, i tratti all’interno di una pubblicità del 1931, pubblicità realizzata per il marchio della Coca-Cola. Stando ai fatti, egli avrebbe domandato al vicino di casa, Lou Prentice, di fargli da modello, decidendo, a seguito della sua morte, di utilizzarne, perfino, il volto.
Della descrizione di Moore, Sundblom preservava pancione e guance rubiconde; svestiva, però, San Nicola del suo mantello da vescovo, abbigliandolo, affinché fosse in pendant con il logo della Coca-Cola, con un più confortevole completo rosso e bianco. Svanivano, dunque, il verde e il blu con cui, fino a quel momento, egli era stato spesso raffigurato.
Merito di Sundblom è, senza dubbio, quello di aver operato una metamorfosi ulteriore del personaggio rispetto alla rivoluzione già operata dalla letteratura: da Santo, il disegnatore tramuta San Nicola in un personaggio familiare, nonché uomo comune, rappresentandolo in scene tipiche della vita quotidiana. Piuttosto celebre è l’immagine che lo ritrae seduto su una poltrona, intento a leggere le letterine dei fanciulli.
Con il suo disegno, Sundblom sembrava farsi premonitore dei tempi moderni: l’immagine di Santa Claus che, seduto su una poltrona, legge le letterine dei bambini sembra fare l’ego alla scena tipica del villaggio di Natale cui, a partire dal mese di novembre, si assiste in tanti centri commerciali del mondo.
Ci si avviava, forse già all’epoca, in direzione della società del moderno consumismo: una figura originariamente storica, poi divenuta – per mezzo della letteratura – strumento di diletto, si faceva, con la pubblicità, pretesto per attirare l’attenzione del pubblico e favorire l’acquisto dei prodotti. Questa visione – meramente capitalista – si sarebbe consolidata nel secondo dopoguerra.
Tuttora, adottare l’immagine di Santa Claus per attrarre potenziali clienti nei negozi risulta essere una strategia vincente, specie nei giorni che precedono e che seguono il Black Friday. Principale imputato nella corsa sfrenata agli acquisti, il Black Friday sancisce l’inizio dello shopping natalizio negli Stati Uniti, e costituisce – per via del fenomeno della globalizzazione – l’inno allo shopping per eccellenza in tutto il mondo.
Sarebbe sbagliato affermare che il villaggio di Santa Claus – cui, generalmente, si può accedere proprio a partire dal Venerdì nero – non contribuisca ad accendere nei nostri cuori la magia del Natale, ma sarebbe, altresì, sbagliato credere che la società di oggi – una società che propina un’immagine di Santa Claus quale dispensatore di beni materiali – preservi, senza badare all’utile, i valori morali che contraddistinguevano San Nicola e il principio del dilettevole cui puntava la letteratura.