Un macabro impulso: rubava foto di donne morte nei cimiteri. Un morboso collezionismo che ha condotto Marco Conocchia, un uomo di cinquant’anni, a rubare fotografie e ceneri dalle tombe di giovani donne. Le sue azioni, descritte come una perversione da parte dello stesso imputato, sono state scoperte a seguito del furto delle ceneri di Elena Aubry, giovane ragazza scomparsa tragicamente a 26 anni in un incidente stradale.
La scoperta del furto delle ceneri di Elena Aubry
Tutto è iniziato quando le ceneri di Elena Aubry sono state trafugate dal cimitero. La giovane, che aveva perso la vita in un incidente motociclistico lungo la via Ostiense, aveva lasciato un vuoto profondo nella vita della sua famiglia. La madre della ragazza ha denunciato il furto e l’inchiesta ha subito messo in evidenza il profilo di Marco Conocchia, un uomo già noto alle forze dell’ordine per i precedenti furti avvenuti nei cimiteri della capitale. L’assenza di tracce lasciate dal ladro ha suscitato sospetti, portando gli investigatori direttamente alla sua abitazione.
Qui, non solo sono state rinvenute le ceneri della giovane defunta, ma anche un inquietante accumulo di 358 fotografie di donne morte, tutte sottratte in oltre dieci anni di atti illeciti. Le immagini, che Conocchia custodiva con un certo scrupolo, erano minuziosamente catalogate e riposte in album e scatole, in un angolo della sua casa, a testimonianza di un pericoloso e morboso desiderio di collezionare immagini di morte. Ogni foto era accompagnata da dettagli specifici riguardanti il furto, come il nome della defunta, la data e l’ora del furto.
Il bisogno morboso di possedere immagini di donne morte
Nel corso del dibattimento, Marco Conocchia ha spiegato che queste immagini rappresentavano per lui una sorta di “droga” dalla quale non riusciva a staccarsi. L’uomo, infatti, ha dichiarato di non poter fare a meno di guardare e conservare le foto delle donne morte, in particolare quelle di giovani e belle defunte. La sua ossessione per la bellezza femminile e per l’aspetto etereo della morte lo spingeva ad aggirarsi tra le tombe, in particolare nel cimitero del Verano, uno dei più grandi e famosi di Roma, dove ha rubato gran parte delle fotografie.
Durante gli interrogatori, Conocchia ha riferito che il suo bisogno di “ammirare” i volti delle donne morte rappresentava per lui una forma di appagamento, qualcosa che non riusciva a controllare. Un atteggiamento che ha destato preoccupazione tra gli inquirenti, tanto che è stato riconosciuto come capace di intendere e volere, pur essendo vittima di una perversione che non riusciva a tenere sotto controllo.
La carriera di collezionista di immagini e il precedente arresto
La carriera criminale di Conocchia non è stata una novità per gli investigatori: nel 2014 era stato già fermato e condannato per ricettazione di immagini rubate, ma senza che venissero mosse accuse di furto o violazione della sepoltura. Le indagini hanno confermato che l’uomo raccoglieva fotografie di defunti da almeno dieci anni, accumulando una vera e propria collezione che non aveva alcun rispetto per la sacralità dei luoghi dove quelle immagini venivano prese.
Le foto rinvenute nella sua abitazione appartenevano a decine di famiglie che avevano subito il furto di ricordi intimi e irripetibili. Tra queste, anche quella della madre dell’attore Enrico Montesano, una testimonianza che ha ulteriormente allarmato le forze dell’ordine e la comunità. La precisione con cui Conocchia documentava ogni furto attraverso annotazioni su un taccuino mostrava un senso di “possesso” nei confronti delle immagini, come se ogni scatto fosse una vittoria, un segno di controllo sulle vittime.
Le accuse e la condanna
Nel processo che ha visto Conocchia imputato per ricettazione e furto di ceneri, il tribunale ha inflitto una condanna di due anni e quattro mesi. Una pena che, per molti, non sembra proporzionata alla gravità degli atti compiuti dall’uomo. Tuttavia, la difesa ha cercato di attenuare le responsabilità, sostenendo che Conocchia fosse affetto da una patologia che lo rendeva incapace di controllare il suo impulso morboso. Il giudice, però, ha stabilito che l’imputato fosse pienamente in grado di intendere e volere, ma che non fosse in grado di frenare la sua perversione.
Il furto delle ceneri di Elena Aubry, un atto particolarmente grave, non è stato trattato come parte di questo procedimento, ma sarà oggetto di un processo separato. In tale occasione, Conocchia dovrà rispondere anche delle accuse di violazione di sepolcro, vilipendio di cadavere e occultamento di cadavere, reati che mettono in evidenza la sua totale mancanza di rispetto per la morte e per le persone che ha colpito con le sue azioni.
Un caso che solleva interrogativi sulla psiche umana
Questo caso, che ha sconvolto l’opinione pubblica, solleva interrogativi inquietanti sulla natura della perversione e sull’oscuro desiderio di possedere la morte in forme che vanno ben oltre la semplice curiosità morbosa. Le motivazioni di Marco Conocchia non sono facili da comprendere, ma la sua condanna non solo punisce un crimine grave, ma rappresenta anche un monito sulle potenzialità perverse che l’individuo può sviluppare in solitudine e disconnessione dalla società.