Secondo i dati Istat, il 24% delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale. La realtà si complica ulteriormente se parliamo di donne migranti che sono doppiamente vulnerabili in quanto donne e in quanto straniere.
Il problema della violenza di genere
Le donne nelle società odierne sono ancora ingabbiate in una condizione di perenne inferiorità rispetto agli uomini, in qualsiasi ambito della loro vita. Una delle conseguenze più drammatiche di questa condizione è la violenza di genere che è alimentata da retaggi culturali patriarcali, stereotipi che dovrebbero essere considerati superati ma che invece hanno radici ben profonde nei rapporti di potere tra uomo e donna.
Infatti, spesso succede che si è vittima di violenza senza neanche rendersene conto ed esserne consapevoli poiché essa può presentarsi sotto diverse forme. Una delle più subdole è la violenza psicologica, insita in comportamenti controllanti, svalutanti e intimidatori, che relega le donne ad una condizione di subordinazione ed inferiorità rispetto agli uomini. Dunque, non c’è da meravigliarsi se nel mondo almeno una donna su tre è vittima di episodi di violenza o abusi
Violenza di genere durante la migrazione
Secondo le statistiche, globalmente, circa 15 milioni di ragazze con un’età compresa tra i 15 e i 19 anni hanno subito una violenza sessuale nel corso della loro vita. Tuttavia, quando si affronta la tematica del fenomeno migratorio, raramente si considera il punto di vista delle donne migranti, nonostante siano protagoniste di una doppia discriminazione: in quanto donne e in quanto di origine straniera in Italia.
Accanto ad una forma di razzismo sistemico e strutturale, la violenza di genere rappresenta un’altra delle principali forme di oppressione che colpisce le donne migranti, in quasi ogni fase della loro vita: dalla loro terra di origine, ai Paesi di transito – in particolar modo la Libia – fino ai Paesi di destinazione. Infatti, è stato ampiamente documentato che il rischio di violenza sessuale per le donne è estremamente elevato soprattutto lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Il pericolo è ancor più acuto per le minorenni non accompagnate che sono anche le principali vittime della tratta di esseri umani, rappresentando circa il 15,7%.
La tratta implica una violenza psicologica e fisica il cui obiettivo è sfruttare la vittima attraverso il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale o il prelievo degli organi.
Inoltre, l’arrivo nei Paesi di destinazione non sempre genera sicurezza poiché, secondo alcuni studi, è emerso che generalmente le donne provenienti dai Paesi dell’est Europa come rumene, albanesi e bulgare vengono introdotte con l’inganno in Italia, sono costrette a subire violenza e successivamente vengono inserite nel mondo della prostituzione mentre invece le donne nigeriane vengono minacciate con riti voodoo e coinvolte in traffici internazionali della prostituzione.
La violenza può essere sia una causa che un rischio legato alla migrazione. Ad esempio nel Corno d’Africa sono tante le ragazze che decidono di migrare dopo aver vissuto l’esperienza di una violenza di genere o per sfuggire a pratiche abusanti come i matrimoni infantili e/o la mutilazione genitale. La violenza contro le donne migranti si verifica in ogni fase del percorso migratorio e viene perpetrata da diversi attori, tra cui contrabbandieri, forze dell’ordine, di frontiera, trafficanti di esseri umani e altri migranti.
Emerge in maniera drammatica quanto le donne migranti e rifugiate siano una delle categorie più esposte al rischio di sfruttamento e violenza sessuale ma purtroppo raramente riescono a chiedere supporto al personale o ai centri specializzati poiché il razzismo e il sessismo amplificano le loro difficoltà di chiedere aiuto. Non solo incontrano ostacoli nel farsi riconoscere come vittime, ma affrontano anche maggiori difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari, alla giustizia e alla loro autodeterminazione.
Il doppio stato di emergenza delle donne migranti
La storia delle donne migranti in Italia è costellata da soprusi, e purtroppo la violenza sessuale non è l’unica forma di abuso di cui sono vittime.
Secondo i dati aggiornati al 2023, in Italia risiedono 5,1 milioni di cittadini stranieri e di questi la metà sono donne che da più di mezzo secolo sono le vere protagoniste del fenomeno migratorio in Italia. Infatti, a differenza degli anni Sessanta, in cui gli emigrati erano prevalentemente uomini centroeuropei e nordamericani, verso la fine degli anni ’70 iniziarono ad arrivare dal Marocco e dalla Tunisia lavoratori impiegati soprattutto nell’ambito domestico. Questo periodo fu caratterizzato da un alto numero di migranti donne, vere protagoniste di questa fase, denominate anche “donne primo-migranti”, le quali sono arrivate nel Bel Paese mosse dalla voglia di emanciparsi dal punto di vista economico e sociale.
Dunque, come si evince, sono donne dinamiche, autonome nei loro percorsi, protagoniste indiscusse dell’immigrazione straniera in Italia ed anche delle loro vite. Tuttavia, sono anche marginalizzate e schiacciate da posizioni subalterne, passive, da modelli di organizzazione sociale ed economica stereotipati e gerarchizzati sia per genere che per cittadinanza, che le espongono a meccanismi di discriminazione. Tutto questo, infatti, si riversa sulla loro condizione lavorativa che è sempre confinata a posizioni professionali predeterminate, svantaggiose e limitate, impedendo loro un vero avanzamento sociale.
Se si analizzano i dati, si nota che, sebbene le donne migranti residenti in Italia rappresentino circa il 50,9% degli immigrati totali, le donne occupate sono solo il 42%. Invece, la percentuale sale al 52,5% tra le disoccupate, dunque è evidente che rispetto agli occupati, sia italiani che stranieri, il loro tasso di occupazione è il più basso in assoluto.
Inoltre, occorre considerare che la metà delle donne straniere lavora nell’ambito di sole tre professioni: impiegate nelle pulizie, collaboratrici domestiche e addette alla cura della persona. Nonostante un terzo di loro abbia un titolo di studio universitario e siano più istruite degli uomini, le donne immigrate hanno meno possibilità di trovare un lavoro che sia coerente con i propri titoli di studio.
Questa sottorappresentazione statistica fotografa una realtà tragica poiché i dati fanno riferimento solo al lavoro regolare.
Le donne immigrate in Italia
Nonostante tutti i lavoratori stranieri presenti in Italia siano generalmente relegati a posizioni di lavoro subalterne, le donne subiscono ulteriori discriminazioni. In quanto, pur essendo le protagoniste del flusso migratorio, muovendosi con coraggio, consapevolezza ed autonomia, sono continuamente esposte a condizioni di vulnerabilità poiché svolgono lavori predeterminati che le espongono ai settori con i salari più bassi, sono poco tutelate, maggiormente esposte allo sfruttamento, al lavoro irregolare e il loro valore socio-economico è costantemente ignorato.
Anche considerando le differenze nelle caratteristiche che influenzano il salario come il livello di istruzione, l’esperienza lavorativa e la conoscenza della lingua, le donne straniere continuano a guadagnare meno di quanto sarebbe giusto ed inoltre non sembra essere motivato il divario salariale tra uomini e donne migranti.
Come arginare il problema
La violenza di genere si fonda su disuguaglianze socialmente costruite tra uomini e donne. In Italia, solo nel 2024, ci sono state 51 vittime di femminicidio, quasi 3mila violenze sessuali e 700 casi di revenge porn.
Sebbene anche uomini e ragazzi possano essere vittime di violenza di genere, le donne ed in particolare modo le ragazze migranti, sono ancora quelle maggiormente colpite da questo tipo di violenza. La situazione è complessa, ci sarebbe bisogno di misure attente, politiche e culturali, che portino ad una reale uguaglianza tra uomo e donna. Bisogna educare all’affettività, alla sessualità e al rispetto già da bambini, nelle scuole, per evitare che in età adulta questi sentimenti sfocino in violenza e cultura del possesso.
È doveroso supportare l’inclusione delle donne migranti nel tessuto sociale della società, offrendo opportunità di formazione, corsi di lingua che sono fondamentali ai fini lavorativi, ma soprattutto eliminare i fattori di rischio lungo le rotte migratorie ed investire in rotte legali e più sicure.
Investire sulla partecipazione attiva delle donne sia in ambito culturale che lavorativo, partendo dal riconoscimento dei titoli di studio affinché possano raggiungere l’autonomia e posizioni lavorative di prestigio.
Essere donna non deve più essere considerata una sfida o un atto di coraggio. Solo in questo modo si smetterà di vivere in una società costruita dagli uomini per gli uomini e le donne potranno non sentirsi più vulnerabili, inferiori, straniere e colpevoli per il semplice fatto di essere donne.