Muore Licia Pinelli, vedova di Giuseppe Pinelli, lasciando dietro di sé un’eredità di lotta e dignità. Per oltre cinquant’anni ha difeso la memoria del marito, il ferroviere anarchico morto in questura durante l’interrogatorio sulla strage di Piazza Fontana. Una morte mai chiarita fino in fondo, segnata da sospetti, depistaggi e un dolore che si è fatto impegno.
Si è spenta all’età di 96 anni Licia Pinelli, vedova di Giuseppe Pinelli, l’anarchico e ferroviere morto in circostanze misteriose nel dicembre del 1969 durante un interrogatorio in questura. Quella morte, avvenuta nel contesto della strage di Piazza Fontana, segnò profondamente non solo la famiglia Pinelli, ma anche la memoria collettiva italiana, diventando un simbolo delle vittime innocenti di un’epoca segnata da tensioni e depistaggi. La vita di Licia fu da quel momento in poi dedicata alla difesa della memoria del marito e alla ricerca della verità.
Una tragedia che ha cambiato una vita comune
Licia Pinelli nacque a Senigallia nel 1928, trasferendosi a Milano con la famiglia quando era ancora bambina. La sua era una vita normale fino a quella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, quando Giuseppe, detto Pino, fu convocato in questura per essere interrogato in merito alla bomba esplosa alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, un evento che segnò l’inizio della stagione di sangue e terrorismo in Italia.
Licia e Pino si conobbero in un corso di esperanto, la lingua universale, e si sposarono nel 1955. Nel loro appartamento in via Preneste, alle porte di Milano, crebbero le due figlie, Claudia e Silvia. La loro era una famiglia modesta; Licia contribuiva al bilancio familiare trascrivendo a macchina le tesi degli studenti, mentre Giuseppe lavorava come ferroviere. Quella vita cambiò radicalmente quando Pino fu chiamato per un interrogatorio in questura. La notte della sua morte, avvenuta per una caduta dalla finestra del quarto piano, divenne un simbolo di giustizia negata e di oscure dinamiche di potere, alimentando una lotta che avrebbe accompagnato Licia per tutta la vita.
Depistaggi e ricerca della verità
L’interrogatorio di Giuseppe Pinelli, avvenuto nell’ambito delle indagini sulla strage, proseguì oltre le 48 ore legali, generando molti dubbi e sospetti. Nonostante le prime ricostruzioni attribuissero la responsabilità dell’attentato alla pista anarchica, molti indizi portavano a credere che si trattasse di un depistaggio, con l’intenzione di spostare l’attenzione dalle reali dinamiche politiche di quegli anni. Giuseppe Pinelli divenne così un capro espiatorio, un uomo su cui furono gettati sospetti infondati. Per Licia, il marito fu la diciottesima vittima di Piazza Fontana, come riportato anche nella targa commemorativa installata a Palazzo Marino nel cinquantesimo anniversario dell’attentato.
Licia Pinelli non smise mai di cercare la verità su quella notte. Per anni, continuò a lottare affinché fosse riconosciuto lo stato di innocenza del marito e a difendere la sua memoria da ogni tentativo di distorsione. Nonostante le difficoltà e la lentezza delle istituzioni, Licia non venne mai meno alla sua battaglia, portando avanti una lotta per la giustizia con dignità e determinazione.
L’incontro con Gemma Capra: un abbraccio storico
Un momento simbolico nella vita di Licia fu l’incontro, avvenuto nel 2009 al Quirinale, con Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi, anch’egli legato alla vicenda di Giuseppe. Calabresi, infatti, era il commissario responsabile degli interrogatori sui membri del circolo anarchico, tra cui Pinelli stesso, e divenne poi vittima di un attentato organizzato da Lotta Continua.
L’incontro tra le due donne, che scelsero di abbracciarsi in un gesto di riconciliazione, rappresentò un momento di svolta e di pacificazione per due famiglie segnate da lutti dolorosi. Licia Pinelli ricordò più volte che non aveva mai provato rancore verso la famiglia Calabresi, ma solo un profondo dolore per una storia che aveva segnato entrambe. Gemma Capra definì quell’abbraccio un simbolo di una riconciliazione che andava oltre le divisioni e le sofferenze, dichiarando che quel gesto fu un passo importante per superare il dolore.
Riconoscimenti e memoria storica
La battaglia di Licia non è passata inosservata. Nel 2009, fu invitata al Quirinale per partecipare alla Giornata della Memoria delle vittime del terrorismo. Durante quell’incontro, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riconobbe pubblicamente Giuseppe Pinelli come una vittima innocente, definendolo “vittima due volte, prima degli infondati sospetti e poi di una fine assurda”. Questo riconoscimento ufficiale fu per Licia un momento di grande sollievo, anche se non smise mai di credere che lo Stato non avesse fatto abbastanza per ottenere giustizia.
Nel 2015, insieme a Gemma Capra, fu insignita dal presidente Sergio Mattarella dell’onorificenza di Commendatore della Repubblica, un riconoscimento al suo impegno per la memoria storica e la verità. Questo gesto suggellò il percorso di due donne unite da una storia di sofferenza e resistenza, ma anche da un desiderio condiviso di costruire un dialogo di pace.
L’ultimo saluto e l’eredità di Licia Pinelli
Licia Pinelli si è spenta nella sua casa di Porta Romana a Milano, lasciando alle sue figlie Claudia e Silvia il compito di continuare a preservare e difendere la memoria del padre. La storia di Giuseppe e Licia Pinelli rimane impressa come una testimonianza di resistenza e dignità di fronte alla violenza istituzionale e alle ingiustizie del potere.
Il nome di Giuseppe Pinelli, così come la lotta di sua moglie, continuano a rappresentare un capitolo importante della memoria collettiva italiana. La figura di Licia diventa, in questo senso, un simbolo di giustizia, di lotta pacifica e di perseveranza. Il suo messaggio finale, quello di una memoria senza rancore, rappresenta l’eredità più preziosa che lascia non solo alle sue figlie, ma all’intera società.