La rielezione di Trump parla chiaro: il populismo è un trend che funziona. Cerchiamo di capire perché ripescando dalle opere di Umberto Eco.
Cos’è il populismo?
Per una definizione di “populismo” ci affidiamo all’Enciclopedia Treccani in cui si possono leggere i vari significati attribuiti al termine. La parola nasce in realtà da una politica tutt’altro che di destra. Essa definiva l’ideologia socialista della Russia pre-rivoluzionaria in cui si inneggiava al popolo “come depositario di valori totalmente positivi” (Treccani). Nel corso dell’ultimo secolo, con l’arrivo dei mass media e in particolare dei social media, il significato di populismo si è allontanato inesorabilmente da quello di socialismo e definisce piuttosto una delle principali strategie comunicative delle destre che conosciamo.
“L’Italia è il paese che amo”, esordiva così Berlusconi nel suo discorso di discesa in campo del 1994 parlando alla pancia dell’elettorato, facendo appello alle emozioni e non di certo alla razionalità del suo pubblico. Come sappiamo questa non era farina del suo sacco: bastava guardare ai regimi del Novecento per imparare (e dai migliori) che per avere consensi è necessario pungere le folle sul vivo con temi che smuovano le loro passioni.
Inutile sprecare il fiato su leggi di bilancio, spese pubbliche, numeri e conti. Per parlare al popolo (e soprattutto farsi ascoltare) è più pratico celebrare il nazionalismo, demonizzare lo straniero, denunciare gli sbarchi e ogni forma di progresso perché il diverso, l’alterità e i cambiamenti della società fanno paura ed è facendo breccia sulle paure delle persone che si acchiappano i voti. È dunque alle emozioni che un buon populista si rivolge durante i suoi comizi, nei video TikTok, nei tweet.
La trovata di Trump uscita nelle ultime settimane di campagna elettorale, “They’re eating the dogs” (“Si stanno mangiando i cani”) riferendosi agli immigrati di Springfield, è un pratico esempio di populismo fatto come si deve. Una sorta di versione trumpiana estremizzata del nostro caro e sempre apprezzato “ci rubano il lavoro” (frase che ora potremo dire al bar con sollievo sapendo che almeno da noi gli amici a quattro zampe non ce li mettono in pentola).
Che cos’è il populismo? Il populismo è la comunicazione dei leader con le pance della popolazione e, secondo Umberto Eco, una caratteristica fondamentale di quello che egli definì come “fascismo eterno”.
Eco, il populismo qualitativo e il fascismo eterno
Rispolverando Eco si scopre come l’autore maneggiasse l’argomento già più di trent’anni fa, presagendo le sorti che abbiamo ora sotto gli occhi. Per Eco la prassi politica populista è un tratto fondamentale di quello che egli definì come “Ur-fascismo“. Quell’Ur, dal tedesco “ancestrale, originale”, indica un “fascismo primordiale” o “fascismo eterno“, dal nome del suo saggio sul tema (Il fascismo eterno, La nave di Teseo, 1995).
Nel saggio tratto da una conferenza tenuta dal professore alla Columbia University, l’autore spiega in 14 punti le caratteristiche cruciali di quello che secondo lui è il fascismo eterno: una corrente ideologica che non va comparata esclusivamente a quello che è stato il Ventennio in Italia, ma vista come un’impostazione culturale sempre esistita, in alcuni momenti rimanendo latente, in altri prendendo spazio nella politica.
Tra i 14 tratti del Ur-fascismo troviamo il cosiddetto “populismo qualitativo”. In esso la democrazia non si basa sull’impatto che i votanti hanno a livello quantitativo, ma su una concezione qualitativa del popolo in quanto “entità monolitica che esprime una volontà comune”. L’elettorato è ridotto ad una folla uniforme che il leader racchiude sotto le stesse volontà e passioni, poi sfruttate nella comunicazione per acquisire consensi. La comunicazione con i cittadini non scorre quindi sul piano della razionalità, ma gioca con temi che coinvolgono i votanti a livello emotivo.
Ciò che ne risulta è il metodo populista che conosciamo oggi: una prassi politica che sfrutta la manipolazione emotiva nascondendosi dietro ad una finta democrazia che ricorda tremendamente quello che Eco chiamava, senza timore di innescare polemiche, Ur-fascismo.
Populismo e complottismo
La retorica populista piace, è indubbio, ma perché? Anche qui possiamo cercare risposta tra le opere di Umberto Eco.
Dai saggi ai romanzi, l’autore ha cercato di approfondire a più riprese una tematica in particolare: quella del complotto. Tema tanto caro ad Eco, le teorie del complotto e le loro follie interpretative sono state al centro di parte considerevole della sua produzione, da saggi come I limiti dell’interpretazione (La nave di Teseo, 1990), o appunto Il fascismo eterno ai romanzi Il nome della rosa (La nave di Teseo, 1980) ma soprattutto Il pendolo di Foucault (Bompiani, 1988) e Il cimitero di Praga (Bompiani, 2010).
Il tema del complotto, quando ci si approccia agli scritti di Umberto Eco, è ovunque e più se ne legge più si intravedono connessioni con altri temi. Tra queste quella che lega il tipico approccio complottista a quello populista.
La retorica populista infatti piace perché funziona allo stesso modo di quella complottista. Come nei complottismi, i populismi raccontano la realtà dandole un ordine causale, creando rapporti di causa-effetto che servono a dare in pasto al pubblico spiegazioni semplificate a fatti complessi. Causa delle crisi economiche? Gli ebrei. Della criminalità nelle nostre città? Gli immigrati. Del Covid? Gli imperi farmaceutici che avevano i vaccini pronti in frigo da vendere prima che scadessero.
Come nelle teorie del complotto, la retorica populista crea una narrazione della realtà che dà un ordine al disordine e alla complessità del sistema in cui viviamo. Come queste, individuano un nemico al quale attribuire tutti i mali della società o del proprio gruppo, facendo leva sul senso identitario degli aderenti. Populismi e complottismi sono dogmatici: al contrario della scienza non possono essere aperti a critiche, in quanto si reggono su racconti che, non essendo veramente dimostrabili, devono essere creduti per fede.
Il gioco della retorica populista è di fatto lo stesso dei teorici del complotto: trovare risposte (poco importa se inverosimili) ai perché, alle insicurezze, alle paure e paranoie delle persone, in un contesto storico in cui queste sono forti e proliferano attraverso tutti i canali.
Già dagli anni Ottanta si è iniziato a parlare di “paranoia postmoderna” per indicare uno stato di ansia collettiva dettato dall’enorme complessità del sistema economico e politico. Con l’avvento dell’era digitale tale complessità si è estremizzata fino a rendere difficile, se non impossibile, poter distinguere tra le infinite informazioni da cui siamo bombardati costantemente delle fonti autorevoli, distinguere in effetti la verità dalla finzione, dalla propaganda, dalle fake news. Immersi nelle immagini sempre aggiornate di un mondo iper-caotico, ogni spiraglio di stabilità (anche se solo apparente) sembra essenziale e lenitivo. Ecco perché populismi e teorie del complotto riscuotono tanto successo.
Perché i populismi ci affascinano tanto?
I populismi, come le teorie del complotto, affascinano e seducono molti perché offrono risposte certe e un conseguente senso di stabilità nel caos generale. Tutto ciò può essere spiegato attraverso la psicologia. Come suggerisce la dott.ssa Adornetti in un articolo accademico, questo tipo di retorica funziona perché dà conforto a tre bisogni psicologici essenziali: quello epistemico (di conoscenza), quello esistenziale e quello sociale.
Vediamoli con ordine prima di concludere.
1- Il bisogno di conoscenza è il cardine psicologico che dà senso di sicurezza e stabilità. Le teorie del complotto, come i populismi, interpretando la realtà secondo i racconti che fanno loro più comodo la organizzano in delle trame ben costruite che diano risposte ai dubbi e alle incertezze causati da un sistema sempre più complesso.
2- Il bisogno esistenziale è la necessità di riconoscere il proprio ruolo come individui all’interno di una società e dunque riconoscersi in un’identità forte. Questa trova in genere solide radici nelle ideologie nazionaliste, in una retorica contro ogni forma di alterità e di diversità. Ciò si collega all’ultimo bisogno psicologico, quello sociale.
3- Il bisogno sociale corrisponde al bisogno di ogni gruppo sociale di mantenere un’immagine positiva della propria comunità e di accusare altri gruppi esterni (etichettati come nemici) per ogni qualsivoglia fallimento, problematica o sconfitta interna.
I populismi sono, in conclusione, prassi politiche di fatto scorrette. Tuttavia, tanto più in un contesto storico come quello di oggi, essi si rivelano assolutamente vincenti in quanto sfamano bisogni psicologici primordiali facendo leva sulle paure e sulle angosce della popolazione.
Alla luce di ciò che abbiamo letto fin qui, forse il vero dramma è questo: che nel caos di questo momento storico il populismo sembri l’unico modo di fare democrazia che tenga. Se non fosse che ciò che ne risulta non è democrazia, ma quel fascismo eterno travestito da agnello.