Oltre 200.000 lettori paganti hanno deciso di cancellare il proprio abbonamento al Washington Post in seguito alla decisione del proprietario del giornale, il miliardario proprietario di Amazon Jeff Bezos, di bloccare l’endorsement a Kamala Harris. Così facendo, l’influente giornale della capitale non sosterrà nessun candidato nella corsa alla Casa Bianca per la prima volta dal 1988. Nei giorni scorsi anche il Los Angeles Times aveva deciso per la stessa politica di astensionismo.
La “neutralità” del Washington Post
Una decisione inaspettata, forte e altamente inusuale. Nessuno poteva pensare che il Washington Post, uno dei quotidiani più influenti del paese, si potesse esimere dall’appoggiare uno dei due candidati in corsa per la presidenza degli Stati Uniti. Eppure è andata proprio, né Kamala Harris né Donald Trump riceveranno supporto dal giornale della capitale.
La controversa decisione arriva direttamente dal proprietario del Washington Post, il fondatore di Amazon Jeff Bezos, il quale ha deciso di non far pubblicare un endorsement per la candidata democratica Kamala Harris. Al suo posto il giornale ha rilasciato un editoriale, firmato dal direttore Will Lewis, dove si afferma che il Washington Post non avrebbe sostenuto alcun candidato alle elezioni. La scelta è stata giustificata come un “ritorno alle origini”, facendo riferimento a quando, nelle elezioni del 1960, il quotidiano aveva deciso di non schierarsi tra Richard Nixon e John Fitzgerald Kennedy.
Una giustificazione di questo tipo però suona abbastanza strana, se non di facciata, all’opinione dei professionisti del settore. Il Washington Post, di orientamento liberal, effettivamente non aveva sostenuto alcun candidato nel 1960, ma a partire dal 1976 ha sempre appoggiato i candidati democratici alle elezioni presidenziali (fatta eccezione del 1988, quando si astenne). Se si parla di “ritorno alle origini” perché interrompere una tradizione che va avanti da quasi cinquant’anni?
Probabilmente la ragione del mancato supporto alla Harris è ben diverso e coincide più con gli affari di Bezos che con l’attività giornalistica. Si parla di una mossa d’anticipo del miliardario, che si sarebbe premunito in caso di vittoria di Trump per non incorrere in ripercussioni sui suoi affari dopo un’eventuale vittoria del repubblicano. Di fatto Trump, che ha più volte dipinto i media non allineati a lui come “nemici del popolo”, ha promesso durante la sua campagna elettorale di agire contro chi gli fosse avverso.
Come riporta Il Fatto Quotidiano, Trump era già stato molto critico nei confronti del Washington Post e aveva danneggiato Bezos, facendogli perdere nel 2019 un contratto di 10 miliardi di dollari con il Pentagono favorendo Microsoft. Il tutto per “danneggiare il suo presunto nemico politico”.
Le reazioni
Il mancato supporto a Kamala Harris ha lasciato esterrefatti e contrariati i lavoratori del Washington Post e tutto il mondo della stampa. L’ex direttore esecutivo del quotidiano, Martin Baron, ha affermato: “Questa è codardia, un momento di oscurità che lascerà la democrazia come vittima”. A far eco alle sue parole anche il sindacato dei lavoratori del Washington Post, che si è definito “profondamente preoccupato” per quella che si ritiene essere un’interferenza al lavoro giornalistico.
Anche i lettori del quotidiano però stanno manifestando il proprio dissenso. Oltre 200.000 utenti (cioè circa l’8% degli abbonati, ma i numeri sono in aumento) hanno deciso di annullare il loro abbonamento al giornale in segno di protesta. Tra le figure di spicco che hanno deciso di sospendere il loro abbonamento ci sono anche Liz Cheney, figlia dell’ex vicepresidente Dick Cheney, e lo scrittore Stephen King.
Il Washington Post si unisce al Los Angeles Times nella lista dei giornali non schierati per queste presidenziali, a pochissimi giorni dal voto. I sondaggi danno i due candidati a pochissimi punti uno dall’altro, con Kamala Harris in leggero vantaggio su Donald Trump, il quale però può contare sul sostegno di alcuni giornali che non si sono tirati indietro all’ultimo. Tra questi il New York Post, che ha pubblicato un endorsement dove afferma come il tycoon sia “una scelta chiara per un futuro migliore”.