L’Ecri, la commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa ha sottolineato come in Italia ci siano ancora enormi problemi di discriminazione razziale e profilazione razziale, a partire dai discorsi dei politici al governo, dal modus operandi delle forze dell’ordine e dalle accuse contro i giudici incaricati di valutare casi di migrazione.
L’Ecri e le accuse all’Italia
Il Consiglio d’Europa è un organismo nato nel 1949 dopo la fine della Seconda guerra mondiale, organo incaricato di promuovere la democrazia e i diritti nel continente. L’Ecri, organo del Consiglio di Europa, ha il compito di monitorare la situazione europea per contrastare ogni forma di razzismo, xenofobia, antisemitismo e intolleranza. Istituito nel 1993 è composto da membri che hanno esperienza nell’ambito della lotta contro il razzismo e la xenofobia.
Dall’ultimo report dell’Ecri, è emersa la preoccupazione per il crescente clima di xenofobia che pervade in particolare il discorso pubblico italiano, con dichiarazioni apertamente razziste e discriminatorie da parte anche di alte cariche del governo di Giorgia Meloni.
«Il discorso pubblico è diventato sempre più xenofobo e il discorso politico ha assunto toni altamente divisivi e antagonistici, prendendo di mira in particolare rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché cittadini italiani con background migratorio, Rom e persone Lgbt»
Si legge all’interno del rapporto. Il riferimento ai discorsi antimmigrazione del governo italiano non dovrebbe stupire, ma preoccupano i toni assunti, con una retorica allarmista e criminalizzante con cui il governo italiano tratta sempre le tematiche riguardanti le migrazioni definite “irregolari”. Velato il riferimento alle vergognose dichiarazioni del generale Vannacci contenute in particolare nel suo libro “Il mondo al contrario”.
Nel report dell’Ecri sono inoltre citati gli attacchi a giudici e magistrati che negli ultimi mesi si sono espressi in particolare su tematiche legate all’immigrazione, sottolineando come spesso esponenti del governo muovano «critiche indebite che mirano a minare l’autorità dei singoli giudici che decidono sui casi di migrazione» con un chiaro riferimento alle vicende che hanno colpito la giudice Iolanda Apostolico, critiche che recentemente hanno colpito anche i giudici del Tribunale di Roma che non hanno convalidato il trattenimento di 12 migranti presso i centri di Gjader e Shenjig in Albania.
Le forze dell’ordine e la profilazione razziale
All’interno del report c’è anche una chiara accusa delle pratiche assunte dalla polizia italiana che, in particolare durante controlli e indagini, agirebbe sulla base di una profilazione razziale, denuncia mossa sulla base di numerose testimonianze.
Al punto 91 del report di Ecri si legge infatti:
«Durante la sua visita in Italia, la delegazione dell’ECRI è venuta a conoscenza di molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine in particolare verso la comunità Rom e le persone di origine africana. Queste testimonianze di frequenti fermi e controlli basati sull’origine etnica sono confermate anche dai rapporti delle organizzazioni della società civile e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati. Tuttavia, le autorità non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale. La profilazione razziale ha effetti notevolmente negativi, in quanto genera un senso di umiliazione ed ingiustizia per i gruppi coinvolti provocando stigmatizzazione e alienazione. È inoltre dannosa per la sicurezza generale in quanto diminuisce la fiducia nella polizia e contribuisce a non denunciare reati».
Ma che cos’è la profilazione razziale? La pratica della profilazione razziale consiste in controlli mirati concentrati su specifiche aree o gruppi di persone sistematicamente applicati sulla base del colore della pelle e di caratteristiche fenotipiche. Una pratica apertamente razzista che prende di mira persone nere, maghrebine o rom esclusivamente sulla base di un’appartenenza etnica, costringendole a subire controlli da parte della polizia in maniera spesso completamene aleatoria. La questione della profilazione razziale all’interno delle forze dell’ordine ha avuto maggiore attenzione negli ultimi anni anche grazie a movimenti come Black Lives Matter o alle mobilitazioni in seguito all’assassinio di Nahel M. in Francia.
Una presa di coscienza e una profonda analisi della situazione all’interno delle forze dell’ordine è però mancata in Italia. Già in precedenza, un altro report, “Essere neri in Europa” ad opera della European Union Agency for Fundamental Rights, aveva sottolineato come «in Italia, tra coloro che sono stati fermati nei dodici mesi precedenti il sondaggio, il 70% ritiene che l’ultimo fermo sia stato motivato da motivi razziali».
Ciò che preoccupa, oltre alla profilazione razziale quotidianamente impiegata nei controlli, nella sorveglianza e nelle indagini della polizia, è la mancanza di ricerca e informazioni su tali pratiche. Scarsi sono i dati sul target dei controlli delle forze dell’ordine, fatto che sottolinea una carenza che si rivela estremamente dannosa per una parte della popolazione.
La profilazione razziale parte quindi da un presupposto generalizzato, assumendo una sorta di “minacciosità preventiva” basata su un pregiudizio razzista nei confronti di determinate persone che come unica colpa hanno quella di avere caratteristiche fenotipiche che in maniera xenofoba sono ritenute maggiormente sospette di altre. Il fatto che la profilazione razziale sia impiegata dalle forze dell’ordine, forze che dovrebbero garantire la sicurezza di tutti i cittadini, aggrava la situazione. È importante ricordare che l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riconosce «il diritto di non subire alcuna forma di discriminazione, tra cui quella fondata sulla razza, l’origine etnica o sociale, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura».
La profilazione razziale è una pratica razzista e allarmante, sistematicamente impiegata nel nostro paese dalle forze dell’ordine, pratica che dovrebbe destare vergogna e che richiederebbe un immediato intervento per cambiare tempestivamente la situazione.
Le reazioni delle autorità al rapporto dell’Ecri
Ovviamente, le reazioni delle autorità italiane sono state immediate. Giorgia Meloni e i ministri Matteo Salvini e Antonio Tajani hanno espresso immediatamente la propria vicinanza alle forze dell’ordine sparando a zero sul rapporto dell’Ecri.
«Donne e uomini in divisa sono stati attaccati vergognosamente da un ente inutile pagato anche con le tasse dei cittadini italiani. Se a questi signori piacciono tanto Rom e clandestini se li portino tutti a casa loro a Strasburgo» ha dichiarato Matteo Salvini impiegando ancora una volta proprio quei toni e termini condannati dall’Ecri. Anche Sergio Mattarella si è dichiarato stupito esprimendo vicinanza alla polizia italiana.
Emergono totale mancanza di autocritica e di volontà di fare chiarezza su una situazione rilevata sulla base di numerose testimonianze raccolte dall’Ecri.
In un paese dove dovrebbero vigere democrazia e diritti uguali per tutti, queste reazioni non sono accettabili. A un’accusa di xenofobia e impiego di profilazione razziale sarebbe necessario rispondere con indagini accurate e monitoraggio dell’operato delle forze dell’ordine. Ma da un governo che quotidianamente impiega una retorica che tende all’odio e alla marginalizzazione di una parte di popolazione forse non ci si poteva aspettare altro. Sembra una sistematica negazione di un’evidenza più volte sottolineata da indagini e report che si sono susseguiti negli scorsi anni, report che restituiscono l’immagine di un Paese in cui dilagano atteggiamenti xenofobi e razzisti. E questo non dovrebbe stupire, nel momento in cui tali atteggiamenti sono assunti e legittimati dalle parole di chi sta al governo, contribuendo alla creazione di un preoccupante clima di impunità.