“Nella civiltà occidentale, gli uomini hanno continuato e continuano a incarnare il canone, il prototipo, la norma”
(Chiara Volpato)
L’11 Ottobre ricorre la giornata internazionale delle bambine e delle ragazze, un’occasione che sarebbe opportuno cogliere per osservare, accorgersi e riflettere sulle circostanze e i fattori che ostacolano la piena realizzazione delle giovani donne. Un importante fattore che determina la solidità di tale ostacolo è rappresentato dal canone scolastico che, insieme al sistema educativo, pone la donna ai margini della storia.
L’esclusione della donna dal canone letterario non rimanda soltanto a una questione di giustizia e rappresentanza ma influisce profondamente sulla percezione del potenziale delle giovani donne e sulle loro aspirazioni, compromettendo di fatto il potenziale di sviluppo della società stessa.
“Cambiamenti come quelli proposti dal femminismo” però, “necessitano di tempi lunghi di realizzazione e sedimentazione”, scrive Chiara Volpato in “Psicosociologia del maschilismo”. Si rende quindi necessario affondare le radici del cambiamento nell’ambito dell’educazione, tra i banchi di scuola, negli spazi di aggregazione giovanile: quei luoghi dove si plasma il presente e si pongono le fondamenta per il futuro.
Ma quali sono le motivazioni e le dinamiche che mostrano la reale urgenza di ripensare il canone letterario e scolastico?
L’importanza del canone secondo Bourdieu
Il canone scolastico agisce in modo inevitabile nella formazione delle identità culturali e sociali. Attraverso i testi e le narrazioni proposti nei programmi scolastici, gli studenti acquisiscono informazioni, accolgono valori, norme e modelli comportamentali che insieme danno forma alla loro percezione e visione del mondo.
Pierre Bourdieu, con il suo concetto di Habitus, sostiene che i sistemi educativi perpetuino e legittimino le disuguaglianze sociali attraverso la capacità che questi hanno di modellare il sistema con cui gli individui avvertono il mondo. L’habitus é infatti il risultato dei condizionamenti sociali, i quali generano schemi di pensiero che mediano l’agire individuale e collettivo. Possiamo dunque considerare l’habitus come un prodotto della storia, che a sua volta è anche un “produttore di storia”. Esso, infatti, genera pratiche individuali e collettive “conformemente agli schemi generati dalla storia”(Bourdieu).
Dunque, secondo il sociologo, l’educazione agisce come un meccanismo di riproduzione sociale, perpetuando le disuguaglianze attraverso un insieme di schemi interiorizzati che influenzano il modo in cui gli individui vedono il mondo e agiscono in esso.
Tale concezione evidenzia come il canone letterario influisca in modo determinante nella costruzione della percezione dei valori, nella creazione e perpetuazione di modelli, tra cui quello patriarcale.
L’educazione, nella storia e nel presente, non può definirsi neutra: essa favorisce e riproduce il capitale culturale di chi é già in posizione di potere. Le donne, storicamente escluse dai circoli intellettuali, sono rimaste fuori dal canone culturale che definisce ciò che é ritenuto degno di essere tramandato e studiato. Secondo Chiara Volpato, psicologa sociale, questo fenomeno ha prodotto e rafforzato una dominazione simbolica, che plasma la percezione della donna come inferiore e meno capace di partecipare alla sfera pubblica.
Stereotipi di genere e costruzione del canone maschile
Gli stereotipi di genere si radicano anche nella selezione dei testi scolastici e dei modelli educativi. Il canone scolastico si è costruito su criteri e valori maschili, privilegiando figure storiche e letterarie maschili come modelli universali, mentre le donne sono state perlopiù escluse o ridotte a ruoli marginali. Questo non solo limita le opportunità di riconoscere figure femminili autorevoli, ma consolida anche l’idea che le donne non abbiano contribuito significativamente alla cultura, alla scienza o alla letteratura.
Simone de Beauvoir, ne “Il secondo sesso”, affermava che “non si nasce donna, lo si diventa”, denunciando come l’identità femminile sia una costruzione culturale, plasmata dalle aspettative sociali. Queste aspettative si manifestano in modo evidente nel campo dell’istruzione, dove l’assenza di modelli femminili contribuisce a definire le donne come soggetti subordinati.
Se nel canone scolastico la figura femminile è confinata al mero ruolo di musa, se non vi sono riportati gli espedienti in cui la donna é protagonista del proprio agire, se mancano le testimonianze di figure capaci di compiere opere intellettuali di valore, quali aspirazioni, e che percezione del proprio potenziale potrà mai avere una giovane donna?
Conseguenze psicologiche e sociali dell’esclusione della donna dal canone
La mancanza di figure femminili nel canone scolastico non ha solo implicazioni culturali, ma produce effetti psicologici profondi sulle giovani donne. Studi di psicologia sociale dimostrano che la mancanza di modelli femminili riduce le aspirazioni delle ragazze e crea un “effetto di minoranza”. Le ragazze, non vedendosi rappresentate nei libri di testo, interiorizzano l’idea che certe sfere del sapere o della carriera siano esclusivamente maschili.
Le giovani donne sono dunque costrette a navigare in un mondo in cui le loro ambizioni vengono limitate da barriere invisibili. Questo fenomeno, descritto come “soffitto di cristallo”, non è solo il risultato di una discriminazione diretta, ma di un sistema educativo che implicitamente svaluta il contributo femminile. Come afferma Pierre Bourdieu, “la violenza simbolica” è una forma di oppressione che agisce in modo invisibile, ma non per questo meno potente. Le giovani donne, immerse in un ambiente educativo che le ignora o le minimizza, finiscono per conformarsi a ruoli stereotipati, rinunciando a percorrere strade che sembrano riservate agli uomini.
Questa dinamica rende perpetuo il passaggio di testimone del capitale culturale tra le generazioni, contribuendo a riproporre ciclicamente modelli che non solo si rivelano poco rappresentativi ma che limitando la quantità e la diversificazione dei contributi intellettuali, limita le potenzialità di sviluppo ed evoluzione della società intera. Pertanto, si dimostra necessario riporre chirurgica e profonda attenzione a una ridefinizione del canone e a un ripensamento del sistema scolastico.
Marginalizzazione della donna nel sistema educativo: perché non compare nel canone?
La questione dell’assenza delle donne nel canone letterario è un problema storico e strutturale, profondamente radicato nelle dinamiche di potere patriarcali che hanno dominato la cultura occidentale per secoli. In ambito letterario, la definizione di “canone” fa riferimento all’insieme delle opere considerate fondamentali che riflettono i valori culturali dominanti. E per gran parte della storia, le opere di autrici donne sono state sistematicamente escluse da questo insieme di testi “legittimi”.
I motivi dell’assenza delle donne nel canone sono molteplici e comprendono fattori storici, sociali e culturali. Un aspetto cruciale è rintracciabile nella storica esclusione delle donne dall’istruzione e dall’accesso alla sfera pubblica. Fino a periodi relativamente recenti, le donne non avevano accesso alle università e alle istituzioni che facilitavano la produzione e la circolazione delle opere letterarie. Questo ha impedito a molte potenziali autrici, scienziate e filosofe di nutrire i propri slanci e sviluppare il proprio potenziale, eliminando a priori la possibilità di trovare uno spazio nel mondo letterario.
Questo svolgimento ha tracciato il percorso per un costruirsi e perpetuarsi del sistema patriarcale, inserendosi in un circolo vizioso che nel 2024 non è ancora stato arrestato. Se il canone tramanda l’idea di una donna incapace di opere intellettuali di valore, questo diverrà un habitus che andrà a influenzare le generazioni successive attraverso un effetto domino perpetuo.
Nel caso delle donne, l’habitus di subordinazione è stato inculcato attraverso l’educazione e la cultura, che hanno storicamente legittimato la superiorità maschile.
Un tracciato storico dell’esclusione
L’esclusione delle donne dal sapere e dalla cultura formale ha origini antiche. Già nella Grecia classica, l’istruzione era riservata agli uomini, con le donne confinate a ruoli domestici e privati. La “paideia”, il sistema educativo greco che prevedeva la formazione dei cittadini(concetto estremamente importante per i greci), non contemplava la partecipazione femminile. In epoche successive, il Rinascimento e l’Illuminismo continuarono a considerare l’educazione femminile secondaria, destinata meramente al perfezionamento morale e all’abilità domestica, escludendo l’idea di una possibile partecipazione intellettuale o politica.
Durante il Medioevo (circa dal V al XV secolo), l’educazione delle donne era limitata quasi esclusivamente a contesti religiosi, come i conventi, dove potevano studiare testi sacri. Questa educazione, tuttavia, non aveva lo scopo di formare donne in ruoli pubblici o intellettuali, ma di prepararle alla vita monastica. In questo periodo, la cultura classica era riservata agli uomini. L’università, nata nel XII secolo, escludeva completamente le donne. Le prime università medievali, come Bologna (fondata nel 1088) e Parigi (1150), non prevedevano l’accesso delle donne agli studi.
Nel corso del Rinascimento (XIV-XVII secolo), ci furono poche eccezioni. Famiglie nobili potevano permettersi di educare le loro figlie privatamente, ma le discipline umanistiche e scientifiche erano ancora fortemente dominate dagli uomini. Personaggi come Isotta Nogarola e Christine de Pizan rappresentano casi isolati di donne con accesso all’educazione e alla scrittura in questo periodo, ma non riuscirono a entrare pienamente nel canone letterario dominante.
La situazione cambiò leggermente tra il XVII e il XVIII secolo, con il diffondersi dell’Illuminismo, che portò a una rivalutazione della capacità intellettuale delle donne, anche se solo parzialmente. Figure come Mary Wollstonecraft in Inghilterra e Émilie du Châtelet in Francia sfidarono le idee tradizionali sul ruolo delle donne, ma l’accesso alle università e alle istituzioni scientifiche rimase limitato. L’Università di Padova, fondata nel 1222, permise per la prima volta a una donna, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, di conseguire una laurea nel 1678, ma fu un caso isolato che non segnò un cambiamento nelle politiche educative generali. Cornaro Piscopia ottenne un dottorato in filosofia, ma solo dopo una lunga opposizione da parte delle autorità universitarie e religiose.
Fu solo nel XIX secolo che si iniziò a vedere un progressivo accesso delle donne agli studi superiori. Negli Stati Uniti, Oberlin College (Ohio) fu il primo istituto a concedere lauree a donne, a partire dal 1837. Nel Regno Unito, le università iniziarono a permettere l’accesso alle donne solo verso la fine del secolo. Cambridge e Oxford, per esempio, aprirono le loro porte alle donne solo nel 1870 e 1871 rispettivamente, ma senza concedere lauree fino ai primi decenni del XX secolo.
In Italia, le donne poterono accedere agli studi universitari solo nel 1876, quando le prime iscrizioni furono registrate presso l’Università di Bologna. Tuttavia, la presenza femminile negli ambienti accademici rimase esigua per molto tempo.
Una risposta in campo storico alla domanda riguardo l’assenza delle donne nel canone scolastico è stata acutamente formulata da Virginia Woolf. Nell’opera “Una stanza tutta per sé” (1929) elabora una riflessione che evidenzia come le donne siano state private delle risorse materiali e intellettuali necessarie per creare letteratura di alto livello. Attraverso la sua famosa metafora della “stanza” indica l’importanza decisiva di avere spazio, tempo e indipendenza economica per poter scrivere, qualcosa di cui le donne sono state storicamente private. Sottolineando in questo modo come una mancanza di strumenti determini di conseguenza una mancanza di frutti.
Distorsione della realtà
Molti gruppi di persone considerano l’uguaglianza di genere un traguardo raggiunto storcendo il naso davanti a discorsi femministi, considerandoli anacronistici. Appare evidente, come prendendo in causa i vari elementi affrontati in questa analisi, si tratti di una percezione distorta della realtà. Una convinzione che é stata prodotta da quel medesimo capitale culturale e da quegli schemi mentali che limitano l’ampiezza di di una visione consapevole, critica e lungimirante.
Verso l’evoluzione
Dal punto di vista sociologico, ci sono diverse ragioni per cui le donne sono escluse dal canone. Come osserva Bourdieu, il concetto di dominazione simbolica evidenzia come il potere culturale favorisca una narrativa maschile, marginalizzando il contributo femminile. Gli stereotipi di genere, profondamente radicati nella cultura, giocano un ruolo cruciale: le donne sono storicamente state considerate inferiori nel contesto educativo, e il canone viene costruito su valori e figure maschili. Questo processo di esclusione non solo nega la rappresentanza alle donne, ma riduce anche le possibilità di sviluppo culturale e sociale di un’intera società
In questo contesto, l’inserimento delle donne nel canone letterario non rappresenta unicamente un atto di equità, ma una necessità per il progresso sociale. Come sottolinea Chiara Volpato in “Psicosociologia del maschilismo”, l’inclusione delle donne è fondamentale per il progresso collettivo: limitare la partecipazione di una componente della popolazione significa limitare le possibilità di sviluppo della società nel suo complesso. Ogni individuo porta contributi unici e preziosi, e le differenze cognitive tra uomini e donne possono arricchire il dibattito culturale e intellettuale.
In occasione della Giornata Internazionale delle Bambine e delle Ragazze, è cruciale interrogarsi su come il sistema educativo influisca sulla percezione di sé delle giovani donne. Ripensare il canone letterario è un primo passo essenziale per garantire che le ragazze possano vedere riflesso il loro potenziale nei testi che studiano. L’inclusione delle donne nel canone culturale non è solo una questione di giustizia, ma una necessità per il futuro della nostra società, per nutrire il potenziale di evoluzione dell’individuo, del collettivo, della società, del mondo.
Alessandra Familari