24 giugno 2016, è venerdì, sono le 8 di mattina e la borsa milanese crolla di quasi 13 punti percentuali, -12,5% a fine giornata -: nel Regno Unito ha vinto il Leave, la Brexit da possibilità diventa concreto pericolo.
Da lì in poi, a parte l’immediata risposta dei mercati, spiazzati, in crisi, la questione ridondante diventa quando l’articolo 50, l’articolo che decreta il recesso dall’Unione Europea, sarebbe stato fatto valere. E a una posizione inizialmente accomodante dell’UE, si sostituisce il sancito limite ultimo del marzo 2017.
Le ragioni politiche alla base sono ovvie, o si è dentro o si è fuori. Le posizioni preoccupanti sul versante opposto, sono altrettanto ovvie. Uscire dall’UE, rendere la Brexit una realtà, vuol dire far carta straccia di tutti gli accordi economico-commerciali realizzati fino a quel momento e doverne stilare di nuovi.
Nella considerazione, poi, che all’interno dell’OMC, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Regno Unito fa parte in quanto membro UE, come ogni altro singolo Paese all’interno della Comunità, si può ben dedurre che le difficoltà dell’uscita, non sono banali come potrebbero apparire.
La valutazione di cosa sia la Brexit e cosa rappresenti nella realtà internazionale non è argomento di facile trattazione, non si tratta di una partita a Risiko o a Monopoly, ma di quello che è il futuro di una realtà globalizzata.
Certo è che al giorno dopo della Brexit, uno dei discorsi più ripresi è stata la validità della consultazione popolare, che in altri termini sta a quanto il popolo è idoneo a prendere una decisione di questo tipo. A tal proposito, dall’affidabilità e idoneità della consultazione democratica, si è passati a quanto sia vincolante un referendum consultivo.
Date le premesse riassuntive, quanto accade è questo: Gina Miller, businesswoman di 51 anni, britannica di origini sudamericana, da cittadina non solo inglese, ma europea, presenta ricorso all’Alta Corte di Londra, in contrasto alla decisione del primo ministro Theresa May di invocare l’articolo 50 del TUE, Trattato dell’Unione Europea, nel marzo 2017, senza tuttavia sottoporre il procedimento al voto parlamentare.
In altri termini, Gina Miller, la ora better known as “Davide brittanica”, ha sollevato un gigantesco polverone politico e mediatico, che potrebbe, attraverso il coraggio e la determinazione mostrata, cambiare il corso della storia europea.
Lo ha fatto appoggiandosi ad uno dei più importanti studi legali londinesi, e ponendo il ricorso in due termini, uno legale e uno politico.
Nei termini legali, la Miller, partendo dal presupposto che si tratti di un referendum consultivo su una decisione di fondamentale importanza storica, per mezzo dei suoi legali ha sfatato quella “royal prerogative”, “diritto reale di agire senza necessità di approvazione parlamentare”, di cui il governo si era servito per giustificare il mancato voto in Parlamento.
Dal punto di vista politico, ha finemente scalfito l’ipotesi che un gesto del genere starebbe a una demolizione della “sovranità parlamentare” britannica, che è diretta rappresentazione dell’interesse pubblico in qualsivoglia stato di diritto.
I giudici, dal canto loro, hanno accolto il ricorso, affermando che “il referendum era consultivo e non può prescindere dal voto del Parlamento.” “La Corte accetta l’argomentazione principale dei ricorrenti” e “non accoglie le argomentazioni avanzate dal governo, che ritiene questo voto inutile”.
La svolta all’interno del nodo Brexit, che ha visto un rialzamento nei mercati del valore della sterlina tra l’altro, imporrà il voto all’interno del Parlamento inglese, ed esattamente all’interno della Camera dei Comuni e di quella dei Lord, dove Theresa May dovrà spiegare quale tipo di Brexit vorrebbe realizzare, fornendo finalmente quei dettagli che il partito labourista, mai stato accomodante alle questioni in seno al Leave, potrebbe comodamente bocciare o, tutt’al più, ritrattare.
Ma sottoporre un quesito del genere al Parlamento potrebbe portare ad altre due strade, che prevedono un altro possibile referendum come delle elezioni anticipate.
Si riapre così una delle questioni più controverse dell’attualità politica internazionale, in un mare d’incertezze e una partita tutta da giocare.
Cosa succederà?
Di Ilaria Piromalli