Lunedì scorso il (quasi ex) presidente Obama ha dichiarato novembre 2016 mese della consapevolezza nazionale sull’Alzheimer, non sembra quindi casuale che un team di ricercatori della Merck abbia colto ieri l’occasione per pubblicare su Science Translational Medicine un articolo relativo a un nuovo promettente farmaco per la cura dell’Alzheimer.
A che punto siamo con la cura dell’Alzheimer
Purtroppo ancora in alto mare, ma l’invecchiamento della popolazione nei paesi ricchi sta facendo diventare le varie forme di demenza senile, tra cui il Morbo di Alzheimer una vera emergenza sociale, questo ha portato ad intensificare gli sforzi, cioè i fondi destinati alla ricerca e negli ultimi anni è stato tutto un fiorire di scoperte e di sperimentazione di nuovi farmaci promettenti.
Rimanendo alla metafora marinara direi che siamo in alto mare ma scorgiamo terra, il presidente Obama ha detto che avremo delle terapie che perlomeno rallentino in maniera sensibile la malattia (cosa che malgrado certi annunci trionfalistici ora non siamo in grado di fare, attualmente non solo non possiamo guarire dall’Alzheimer ma nemmeno contrastare il progredire della malattia in maniera davvero significativa) per il 2025.
Il nuovo farmaco per la cura dell’Alzheimer
Si chiama verubecestat il farmaco presentato dal team dei Laboratori di Ricerca Merck capitanato da Matthew E. Kennedy, si tratta di un inibitore della beta-secretasi 1 (BACE1) che detta così sembra arabo, ma ci siamo documentati per voi.
Forse saprete che caratteristica della malattia di Alzheimer è la formazione di placche di proteine (per la precisione placche di beta-amiloide) nel cervello dei pazienti, è stato scoperto il ruolo di un enzima nella formazione di queste placche, avrete intuito che il colpevole è la succitata beta-secretasi 1, quindi si stanno studiando dei farmaci che inibiscano questo enzima e il verubecestat rientra in questa categoria.
Secondo i ricercatori il verubecestat ha mostrato incoraggianti risultati in termini di diminuzione della beta-amiloide sia nei ratti, che nei malati nella fase 1 della sperimentazione.
Ora naturalmente ci sarà bisogno di testare il medicinale su larga scala, passando per le fasi 2 e 3 della sperimentazione clinica, ma intanto le prime risposte incoraggianti che dovevano venire dalla fase 1 (quella in cui si testa il famoso principio: primo non nuocere) sono arrivate, non solo il farmaco si è dimostrato molto meno tossico di farmaci dello stesso tipo ma anche gli altri effetti avversi che sono stati imputati agli inibitori della BACE 1, cioè di avere un effetto neuro-degenerativo e di ostacolare le connessioni neuronali, nel verubecestat, a detta dei ricercatori , sarebbero assenti o almeno molto minori.
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