Davanti all’approvazione in via definitiva da parte della Camera della legge sull’Autonomia differenziata lanciata dal ministro Calderoli, il fronte di opposizione al governo si è unito per promuovere un referendum abrogativo atto ad eliminare una legge ritenuta colpevole di spaccare l’Italia. La raccolta firme necessaria per l’attuazione del referendum si sta rivelando un grande successo: in meno di due giorni sono state oltre 100 mila le adesioni dei cittadini.
Autonomia differenziata e referendum abrogativo
La Cgil, in prima fila nella lotta contro la legge che introduce l’Autonomia differenziata, ha annunciato che la raccolta firme online promossa con lo scopo di indire un referendum per abrogare la legge in questione sta riscuotendo un ampio successo. Sono, infatti, già oltre 100 mila le adesioni dei cittadini italiani in meno di due giorni: questo dimostra l’impopolarità di una misura che, secondo i partiti di opposizione, rischia di spaccare l’Italia rendendo i livelli di sviluppo economico e sociale delle regioni sempre più diseguali.
Secondo l’articolo 75 della Costituzione italiana, è necessario, al fine di indire un referendum abrogativo, il sostegno all’iniziativa di cinque consigli regionali o, in alternativa, la raccolta di 500 mila firme di elettori italiani. Dunque, la raccolta del 20% delle firme necessarie permette ai partiti di opposizione al governo Meloni di guardare con cauto ottimismo alle possibilità di abrogare la legge sull’Autonomia differenziata.
I referendum sono da sempre uno degli strumenti di maggior rilievo della democrazia italiana, in quanto permettono ai cittadini di partecipare alla vita politica del paese in maniera diretta e di fare valere la propria opinione nei confronti di leggi e iniziative del governo. Il primo referendum abrogativo tenutosi in Italia risale al 1974. In quel caso l’obiettivo era eliminare la legge che nel 1970 aveva legalizzato il divorzio scatenando aspri scontri e controversie. L’iniziativa si risolse tuttavia con un fallimento: vinse il ‘no’, e la legge venne confermata.
Il fronte contro l’Autonomia differenziata
Le reazioni dei leader dei partiti che hanno promosso questa iniziativa non si sono fatte attendere. Al fine di combattere una legge ritenuta profondamente ingiusta e potenzialmente dannosa per il nostro paese, vari partiti dell’opposizione al governo Meloni hanno atipicamente fatto fronte comune per imprimere maggiore forza vitale a questa battaglia.
In prima fila tra gli oppositori troviamo Elly Schlein, leader del Partito Democratico. Schlein, accodandosi alle dichiarazioni di Christian Ferrari, elemento di spicco della Cgil, ha manifestato la sua soddisfazione nei confronti della risposta popolare ad un’iniziativa di cui il PD si è fatto promotore. Elly Schlein rappresenta, infatti, una delle maggiori oppositrici ad una legge che, a sua detta, moltiplica le disuguaglianze che lacerano l’Italia invece che contribuire a ridurle.
Piene di cauto ottimismo sono state anche le parole pronunciate dai leader del Movimento Cinque Stelle e di Alleanza Verdi Sinistra, rispettivamente Giuseppe Conte e Angelo Bonelli. Malgrado profonde divisioni su numerosi temi di politica estera e interna, M5s e Avs hanno deciso di portare avanti insieme la battaglia contro la legge sull’Autonomia differenziata.
Le critiche alla legge sull’Autonomia differenziata
L’iniziativa del ministro per gli affari regionali e le autonomie del governo Meloni, Roberto Calderoli, esponente di spicco della Lega, ha suscitato forti controversie in parlamento e nel dibattito pubblico fin dalla sua iniziale avanzata. Queste controversie sono esplose nel giugno scorso, quando la Camera ha approvato in via definitiva la proposta di legge.
Come spiegato da Fanpage.it, la battaglia portata avanti da Calderoli dà voce ad una storica rivendicazione della Lega, da sempre impegnata per garantire il maggior grado di indipendenza e autonomia alle ricche regioni del nord Italia da cui proviene la maggioranza di chi afferisce al suo bacino elettorale.
Il rischio che i partiti di opposizione associano a questa legge, che permette alle regioni di negoziare con lo Stato la cessione delle competenze riguardo a materie come salute, commercio estero e istruzione, è quello che venga acuito – nonostante il sistema dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) – il divario che separa le regioni più ricche da quelle più arretrate. Concedendo maggiore autonomia alle regioni, lo Stato vedrebbe ridotta la sua capacità di redistribuire la ricchezza del paese e di garantire i servizi fondamentali in ogni area d’Italia.