Mommy è un film del 2014 del giovane regista canadese Xavier Dolan, promessa del cinema internazionale. La pellicola si è aggiudicata il premio della giuria al 67° Festival di Cannes. Il tema non è dei più leggeri ma non si può negare che il film sia bellissimo e poetico, non nel linguaggio che è particolarmente forte ma lo sono le immagini, poetiche. Dolan decide di collocare la storia in un futuro prossimo, solo ipotizzato, in cui viene approvata una legge che consente ai parenti di minori difficili di effettuare un ricovero coatto in un istituto psichiatrico. La vita di Diane (Anne Dorval) è una vita complicata, lo si scopre subito con un incidente stradale che probabilmente Dolan non fa accadere per caso, preannunciando a tutti noi cosa sta per accadere. Diane “Die”, è vedova, non ha mezze misure, la sua esistenza sembra una lotta a chi mangia prima chi. Se lei la vita, o la vita lei. Bellissima dentro i suoi jeans attillati e un’eleganza che fatica a nascondere, non deve ragionare per capire quale tra le possibilità che ha di fronte sia la scelta giusta: Diane non ha scelte. Dopo la morte del marito suo figlio Steve (Antoine-Olivier Pilon), affetto da sindrome da deficit di attenzione e iperattività, è stato affidato a un centro di recupero che a cui ha quasi dato fuoco. La direttrice del centro la informa che può seguire diverse vie perchè “Non si può salvare qualcuno solo perché lo si ama”. Ma è una mamma, Diane, è la nostra Mommy.
Steve è un uragano, sofferente e in bilico tra la felicità disarmante e la rabbia devastante, con nel mezzo il silenzio dei ricordi del padre, i suoi giri sullo skate a cercare delle soluzioni per essere un buon figlio da amare abbastanza, che risolverà tutto perché basta l’amore. Così volgare da sembrare anche divertente, a volte, sarà lui a prendersi cura della madre.
Donal che ha anche scritto il film, inserisce nella vita di Diane e Steve, un terzo personaggio, che si oppone a loro. Vittima di una balbuzie psicosomatica, repressa e non aiutata dalla propria famiglia, Kyla (Suzanne Clèment), è la vicina di Diane e una ex insegnante che accetta di prendersi cura di Steve durante le assenze lavorative della madre aiutandolo a studiare. Kyle è per un po’ noi tutti, spettatrice disarmata tra due umani disarmanti, e che diventa complice della loro felicità e anche di ciò ce ne consegue.
Tutto passa veloce e bene per Steve in quella ricomposta e nuova famiglia, che sembra un regalo fattogli proprio per amore. Scopriamo a un tratto che il formato usato da Dolan (un piccolo 3:4) è il formato soffocante della vita di Steve che desideroso di una esistenza piena, mentre va con il suo skate seguito da Diane e Kyla in bici, allarga il formato ad un 16:9 pieno di speranza.
Il vero di questo film sta ovunque. Anche nei pensieri meno corretti e morali, nell’immaginare una vita che tutti vorrebbero e che la vita stessa distrugge, nei momenti strazianti. In quel “va tutto bene” che non è abbastanza. Violenza, amore, sogno, arrendevolezza, paura, delusione, tradimento, urla, offese, amore buono, amore pulito, amore necessario. Tutto questo è questo film.
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