L’inizio dell’offensiva nell’occupazione israeliana di Rafah e in tutta la Striscia
Dal 7 ottobre, nella lotte tra giovedì e venerdì si è verificata la 72esima incursione militare israeliana nella Palestina occupata, colpendo le aree di Jenin, Rafah e Jabalya. In particolare modo, l’occupazione israeliana di Rafah ha portato ad una serie di bombardamenti nelle case a nord-est e a sud della città. Le aggressioni sono durate continuamente per 40 ore, con violenze e spargimenti di sangue. Dodici palestinesi sono stati uccisi, tra cui quattro bambini, e venticinque persone sono rimaste ferite.
Questa mattina, bombardamenti, artiglieria pesante e massacri si sono verificati anche a nord e al centro della Striscia di Gaza – come nel quartiere di Al-Zaytun a Gaza – e a Jabalya, dove le forze di occupazione israeliane hanno preso di mira ospedali e le poche infrastrutture rimaste.
La situazione è sempre più delicata anche a Nord, al confine con il Libano, dove Netanyahu è pronto per un eventuale contrattacco nei confronti di Hezbollah. Come anche lui stesso ha dichiarato, in queste ore si stanno studiando dei piani militari per mantenere alta la sicurezza delle aree occupate nel Nord della Palestina. Nel frattempo, gli scontri continuano, con un missile israeliano che ha ucciso un insegnante e ferito tre studenti libanesi.
Tanto terrore e preoccupazione si sta spargendo dopo le incursioni nell’occupazione israeliana di Rafah, nel sud della Striscia, dove le IDF hanno portato avanti un’offensiva ancora più violenta, causando lo sfollamento di moltissime persone residenti, che in totale oggi sono 900.000. Ad oggi, come anche a pubblicato l‘Ufficio Stampa del Governo di Gaza il 23 maggio, le statistiche sul genocidio in corso riportano che il 71% delle vittime sono donne e bambini, 77.000 tonnellate di esplosivo sono state lanciate su Gaza e un totale di 45.800 persone tra quelle uccise e quelle disperse.
La reazione palestinese e gli arresti
Durante l’offensiva nell’occupazione israeliana di Rafah, i combattenti palestinesi hanno risposto al fuoco, costringendo migliaia di residenti a rifugiarsi nelle proprie case. Nella notte tra mercoledì e giovedì, molti giovani e adulti sono stati arrestati, tra cui un paramedico e una donna. Le immagini video mostrano gli arrestati inginocchiati, spogliati, bendati e picchiati dai soldati israeliani. Decine di abitazioni sono state perquisite e derubate, mentre nel peggiore dei casi, sono state bombardate.
La violenza ha provocato significativi danni materiali. I droni hanno sorvolato il campo per due giorni, mentre i bulldozer spianavano strade e distruggevano case. La distruzione ha colpito anche l’infrastruttura essenziale, con interruzioni di elettricità e linee telefoniche per ore.
Dopo il ritiro dei carri armati israeliani, Jenin ha ospitato i funerali delle vittime. Una lunga fila di persone si è radunata all’ospedale per rendere omaggio al chirurgo ucciso. La comunità è unita nel dolore e nella solidarietà, mentre i droni continuavano a volare sopra la città devastata.
Offensiva a Gaza e la situazione dell’occupazione israeliana di Rafah
In queste ore, l’attenzione è focalizzata principalmente sulle città di Jenine e di Rafah. Quest’ultima è infatti il teatro della Striscia meridionale di un’intensificata offensiva israeliana. Bombardamenti e cannonate nella notte tra mercoledì e giovedì hanno ucciso almeno 38 palestinesi, secondo fonti del ministero della sanità di Gaza. I carri armati israeliani sono avanzati nel sud-est di Rafah, con attacchi che hanno devastato quartieri residenziali.
Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato che l’operazione continuerà e sarà rafforzata, rivendicando la volontà di estinguere Hamas e eliminare ogni forma di rifugio. Anche Avi Hyman, portavoce del governo Netanyahu, ha ribadito che Israele non sarà fermato nel proteggere i propri cittadini e nel perseguire Hamas. Queste dichiarazioni sono state rilasciate alla vigilia di una decisione della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja riguardo un possibile stop alla guerra a Gaza, richiesta dal Sudafrica.
Un sostegno internazionale che fatica ad essere concreto
Dopo essere stata accusata da Israele di collusione con Hamas, l’agenzia dell’Onu UNRWA ha visto una ripresa del sostegno da parte dei donatori europei. Josep Borrell, ministro degli esteri dell’UE, ha confermato che tutti i donatori dell’UE hanno ripreso a sostenere l’agenzia, descrivendola come “un’ancora di salvezza indispensabile a Gaza e nella regione”. Nonostante le accuse di collisione con Hamas che sono state sollevate dalla diplomazia israeliana, l’UNRWA ha ripreso con fatica il rapporto con i paesi europei che hanno ricominciato a finanziare.
Una voce importante è stata quella cinese, che ha parlato con convinzione del diritto ad esistere dello Stato palestinese e del ruolo che la comunità internazionale ha nel proporre una soluzione che sia globale e pacifica. La Cina è sicuramente una di quelle potenze che opta per la soluzione a due Stati ma che, prima tra tutte, ha riconosciuto lo Stato di Palestina. Il ministro degli esteri cinese Wang Wenbing ha chiesto apertamente il cessate il fuoco e la fine della crisi umanitaria, con l’obiettivo di costruire una pace giusta e duratura.
Il problema rimane sempre lo stesso: come si può effettivamente liberare la Palestina se ogni giorno ci sono incursioni e violenze? È evidente che, nonostante le parole di riconoscimento e di rivendicazione della libertà del popolo palestinese, gli Stati non stiano facendo grandi passi in avanti. Il riconoscimento politico e giuridico è sicuramente una fase molto importante, ma se Israele non viene fermato servirà a poco. Non serve parlare solamente di genocidio o sistema di apartheid; servono misure tanto drastiche quanto efficienti al fine di terminare, per davvero, tutte le occupazioni nei territori palestinesi. L’occupazione israeliana di Rafah è un esempio di quanto, nonostante il sostegno internazionale, i palestinesi non godano di un diritto all’autodeterminazione e al ritorno.
Lucrezia Agliani