Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
Con la perdita di controllo dei confini con India, Bangladesh, Cina e Thailandia, i militari golpisti del Myanmar sono sotto pressione. La giunta militare lotta per mantenere il controllo mentre gruppi armati etnici infliggono pesanti perdite. La recente caduta di Myawaddy e Chinshwehaw, importanti città di confine, mette ulteriormente in dubbio la stabilità del regime. Sebbene abbiano ricevuto supporto dalla Cina e dalla Russia, Pechino sta ora cercando accordi con milizie etniche per proteggere i suoi interessi economici.
Aumentano le difficoltà per la giunta militare del Myanmar. L’esercito, che ha assunto il potere nel 2021 dopo l’ennesimo golpe, non riesce a controllare il territorio. I numerosi gruppi armati – per lo più di derivazione etnica – che conducono un’intensa attività contro l’esercito golpista ottengono sempre più spesso successi di grande portata.
L’ultimo è la conquista dell’importante città di Myawaddy, situata al confine thailandese e collegata da un ponte strategico al centro thai di Mae Sot. Un intero battaglione del “Tatmadaw Kyi”, l’esercito del Myanmar, è rimasto intrappolato dopo un’aspra battaglia con il “Karen National Liberation Army”. Quest’ultimo si batte sin dagli anni ’60 del secolo scorso per l’indipendenza e l’autodeterminazione del popolo Karen, uno dei maggiori gruppi etnici del Paese (circa 9 milioni di persone).
In precedenza i militari golpisti del Myanmar avevano ammesso la perdita della città strategica di Chinshwehaw, situata al confine con la Cina. In quel caso la caduta della città avvenne dopo molti giorni di intensi combattimenti con le formazioni armate di tre gruppi etnici ribelli che si autodefiniscono “Brotherhood Alliance”. Si tratta di fatti importanti.
Chinshwehaw è uno snodo fondamentale per i flussi commerciali tra il Myanmar e la Repubblica Popolare Cinese, mentre Myawaddy lo è per i rapporti commerciali con la vicina Thailandia. Mae Sot, tra l’altro, ospita attualmente circa 30000 rifugiati birmani. Ma i migranti provenienti dal Myanmar e stabiliti in modo precario in Thailandia ammontano a ben 1,6 milioni di persone.
Tutto questo desta grande allarme a Bangkok. Le due nazioni condividono un confine di 2400 kilometri, che non è facilmente controllabile. La Thailandia, pur essendo in condizioni economiche migliori del Myanmar, non può tuttavia permettersi un flusso così imponente, e ha dovuto creare molti campi profughi – quasi sempre tendopoli – per ospitare i rifugiati.
Si noti, tra l’altro, che l’esercito golpista birmano non ha più il controllo delle frontiere con tutti i Paesi confinanti: India, Bangladesh, Cina e, per l’appunto, Thailandia. Questo pone seri interrogativi circa la capacità dei militari golpisti di mantenere il potere acquisito con le armi e mai approvato dalla stragrande maggioranza della popolazione. Che, del resto, è vittima costante di stragi e repressione politica.
Finora i militari golpisti del Myanmar hanno potuto contare sull’appoggio militare e diplomatico della Repubblica Popolare Cinese e della Federazione Russa in funzione anti-occidentale. Vista la situazione, però, Pechino ha cambiato atteggiamento e invita i militari a cercare accordi con le milizie etniche. Non tanto per ragioni politiche o umanitarie, quanto per motivi prettamente economici. La guerra in corso, infatti, mette in pericolo i corridoi energetici ed economici che collegano la ex Birmania alla provincia cinese dello Yunnan.