Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
Il multiculturalismo nel regno Unito è in forte crescita, con leader di diverse etnie che assumono ruoli di rilievo nella politica. La crescente diversità della società britannica può arricchire il paese culturalmente e socialmente, ma la coesione sociale e l’unità nazionale potrebbero essere messe a rischio se non si troveranno soluzioni efficaci per affrontare le divisioni interne. Il multiculturalismo può essere una forza positiva per il paese, ma solo se saranno adottate politiche inclusive e volte a promuovere la coesione sociale.
Dopo la Brexit il Regno Unito sta davvero cambiando volto. Cancellando l’immagine diffusa di un Paese tendenzialmente razzista e attaccato al mito della “Britishness”, gli immigrati di provenienza extraeuropea continuano a conquistare posizioni chiave nella politica nazionale e locale.
Com’è noto l’attuale premier, il conservatore Rishi Sunak, è di origine indiana. Il sindaco di Londra, il laburista Sadiq Khan, è nato a Southampton ma ha origini pakistane. Anche il primo ministro della Scozia e leader dello “Scottish National Party”, Humza Yousaf, è nato nel Regno Unito ma proviene da una famiglia pakistana immigrata.
Vaughan Gething e Michelle O’Neill confermano la tendenza verso il multiculturalismo nel Regno Unito
L’ultimo tassello è l’elezione del 50enne laburista Vaughan Gething come nuovo premier del Galles. Nato a Lusaka in Zambia (ex Rhodesia del Nord ai tempi del defunto impero), padre gallese e madre africana, è emigrato nel Galles con la famiglia all’età di due anni. Si tratta, come hanno subito notato i mass media, del primo leader nero della storia del Regno Unito (e dell’intera Europa).
Ha ottenuto – ed è un fatto degno di nota – anche l’appoggio del “Plaid Cymru” (in inglese “The Party of Wales”), il partito di centrosinistra che auspica la costituzione di un Galles repubblicano, indipendente dal Regno Unito e membro dell’Unione Europea, pur non avendo la forza del partito indipendentista scozzese.
A tutto ciò si può anche aggiungere la recente elezione della 47enne Michelle O’Neill come nuova premier dell’Ulster, prima donna e prima cattolica a ricoprire tale incarico nell’Irlanda del Nord. La O’Neill è pure leader del Sinn Féin, il partito cattolico che punta alla separazione dal Regno Unito e all’unificazione delle due Irlande, Eire e Ulster.
Uno scenario, dunque, del tutto nuovo e in grande movimento. La tradizionale classe politica britannica, bianca e fedele all’istituzione monarchica, non sembra più in grado di esprimere leader plausibili (l’ultimo è stato Boris Johnson), e lascia il passo alle “forze fresche” provenienti dall’immigrazione extraeuropea.
Il Regno Unito sembrerebbe, quindi, il Paese europeo più vicino agli standard del “politically correct”, ma non è tutto oro quel che riluce. In realtà il Regno sta attraversando un periodo di crisi piuttosto profonda. Dopo la morte di Elisabetta II, anche la famiglia Windsor è in crisi, e crescono le forze che vorrebbero passare a un ordinamento repubblicano.
Inoltre la Brexit continua a causare seri problemi economici, contrariamente alle aspettative dei suoi promotori. I rapporti con molti Paesi del Commonwealth non sono più solidi come un tempo, e il nuovo re Carlo III, oltre ad avere seri problemi di salute, non possiede le doti di leadership e la capacitò aggregativa di sua madre.
Lecito interrogarsi, quindi, sul futuro del Regno Unito. Come si comporteranno, per esempio, i nuovi premier di Scozia, Galles e Ulster? In queste parti del Regno stanno crescendo non solo le tendenze indipendentiste, ma anche la volontà di rientrare nella Ue cancellando gli effetti della Brexit. Ciò significa che in futuro la vecchia Inghilterra potrebbe ritrovarsi sola e privata delle regioni che contribuivano a formare il Regno.