Era il 12 marzo 1989: Tim Berners-Lee scriveva al CERN la proposta di ricerca e sviluppo di quello che sarà noto come il World Wide Web (WWW), l’invenzione che ha cambiato il mondo. Se inizialmente l’idea di un database per la condivisione di dati non ebbe molto successo, fu solo grazie alla perseveranza del suo creatore Tim Berners-Lee se oggi tutti noi possiamo usufruire di ben più di un sistema di raccolta di documenti ipertestuali. Di fatto, Internet già esisteva: l’infrastruttura per il trasporto di informazioni era già stata sviluppata. Tim Berners-Lee pensò ad un nuovo servizio: il World Wide Web.
Tim Berners-Lee: l’idea della rete di links finalmente ha successo
Tramite quelli che lui chiamava ipertesti, oggi comunemente noti come links, l’utente avrebbe potuto fare accesso a molte pagine web che avrebbero contenuto diverse tipologie di documenti. Ma Tim Berners-Lee non fu il primo a cercare di dare forma ad una rete di links: anche Vannevar Bush col suo “memex” e Ted Nelson col suo progetto “Xanadu” compresero l’importanza dell’informazione in rete.
In un mondo in cui la ricerca produce risultati considerevoli ad una velocità pazzesca, se non si ha una cartina che permetta all’utente di districarsi nella marea di documenti prodotti ogni giorno, molte informazioni interessanti ed importanti per altre ricerche potrebbero non essere considerate. Ecco l’uso iniziale del WWW: avere una rete di links con cui navigare nel mare della conoscenza.
Il World Wide Web oggi: qualcosa da cui tutti dipendiamo
Oggi l’idea iniziale di Tim Berners-Lee è stata notevolmente ampliata: il WWW è diventato uno spazio virtuale collaborativo in cui esperti e ricercatori (e non solo) possono lavorare insieme, visualizzare e condividere qualunque documento (non solo fogli di carta inchiostrata virtuale, ma anche foto, immagini, filmati, audio e tanto altro).
Difatti, oggi senza il WWW il mondo si spegnerebbe. Ma riflettendoci, questo è un bene o un male? Il WWW ha notevolmente semplificato la vita di tutti i giorni ma allo stesso tempo ha generato una vera e propria dipendenza da esso stesso, tanto che quando “non c’è campo” oppure “internet non prende” ci si sente persi ed incapaci di fare qualunque cosa: dall’inviare un semplice messaggio (con una buona e vecchia lettera cartacea) fino all’utilizzare una cartina per orientarsi nella nostra città, tutte le azioni eseguibili con un click diventano improvvisamente complicate.
Inoltre l’estrema fiducia nel Web fa sì che la memoria del cervello umano diventi assai meno “spaziosa”: avere un dispositivo che ci permette di ricercare qualunque cosa che non ricordiamo subito o di salvare ogni appunto che scriviamo, comporta stipulare una “delega per la memoria”. Tuttavia, il nostro “numero 2” funziona finché egli è disponibile: quando non possiamo farci affidamento, non conosciamo nemmeno il nome della via di casa nostra o il numero di telefono di un nostro caro.
Il World Wide Web in numeri
Nel suo report “Digital 2023”, “We are social” ha rilevato che il 64,4% della popolazione mondiale è online e che il 68% di questa fetta utilizza uno smartphone per restare nel mondo. Inoltre si trascorrono circa 6 ore e 37 minuti al giorno online, un dato non esattamente positivo se si considera che due terzi della giornata sono passati davanti ad uno schermo con prevedibili conseguenze sulla salute, fino a sviluppare una vera e propria dipendenza da alcuni servizi (soprattutto dai social media).
Secondo “GWI”, gli ambiti d’uso di Internet più comuni sono tre, e al primo posto non c’è il primo obiettivo per cui il WWW è stato creato: sul piedistallo è presente la messaggistica e tutto ciò che permette di restare in contatto con amici e familiari, al secondo posto si trova la ricerca di notizie per rimanere aggiornati sugli eventi quotidiani, all’ultimo posto lo streaming di video. Sicuramente ci siamo allontanati molto dall’uso originario per cui il Web era pensato, e la condivisione di documenti sembra non essere più un’attività quotidiana per tutti gli utenti.
Il World Wide Web e la privacy: online e offline
Probabilmente non esiste un solo grammo di conoscenza umana offline. Dunque l’obiettivo dei teorici della rete di links è stato raggiunto. Ma questo non è confortante: essere online significa anche perdere privacy e condividere informazioni che forse preferiremmo mantenere private. Ci si riferisce a nome e cognome, indirizzo di casa, foto di luoghi visitati o persone care; e la lista potrebbe continuare. Sono tutte informazioni che decidiamo di condividere spesso alla leggera senza considerare che una volta messe online, quelle informazioni si perderanno nell’immenso mare di Internet, ma non saranno mai impossibili da ripescare.
In conclusione, forse ognuno di noi dovrebbe avere un’“isola offline” nel proprio cervello in cui il re Buon Senso permetta ad alcune informazioni personali di vivere lontane dal World Wide Web.