Ciò che fa notizia dell’intersessualità è che se ne parli troppo poco, tranne in casi eclatanti come quello del bimbo di due anni – ex bimba – operato a Palermo, al Policlinico Pietro Giaccone.
Un caso, quello dell’intersessualità riportato dai media forse in maniera fin troppo sensazionalistica, tanto da approdare nell’aula di Palazzo Madama. Ci è arrivato questa mattina, quando un gruppo di senatori ha rivolto un’interrogazione ai ministri della salute e degli affari regionali.
Come mai? Cosa c’entra un delicato intervento di chirurgia pediatrica con la politica? La risposta è individuabile nel testo dell’interrogazione, «persone intersessuali potrebbero già essere protette dall’articolo 2 della Costituzione, anche se occorrerebbe una legge ad hoc – si legge sul Messaggero.it – per evitare di perpetuare la loro invisibilità politica e sociale e garantire loro una più efficace protezione. (…) Le vigenti linee guida mediche sono improntate a cercare di cancellare queste forme di diversità per mezzo di trattamenti farmacologici non necessari e interventi chirurgici neonatali mirati a ‘correggere’ tratti che molti medici considerano sintomi di una patologia». E ancora, «questi interventi precoci vengono praticati senza considerare le conseguenze irreversibili sull’apparato genitale e riproduttivo».
Andiamo a Palermo. Alla nascita, il piccolo era stato individuato come appartenente al genere femminile, nonostante il suo patrimonio genetico fosse associabile invece al sesso maschile. Viene chiamato Dsd – disturbo dello sviluppo sessuale – o più conosciuto come ermafroditismo, che peraltro al di fuori dei mammiferi, in natura, è piuttosto frequente (si pensi a pesci e anfibi). Da qui, la decisione di medici e genitori di “armonizzare” questa discordanza, attraverso ben due complessi interventi chirurgici con cui sono stati rimossi utero e vagina e sono stati ricostruiti pene e vie urinarie.
E’ inevitabile finire nella bioetica. L’intersessualità è una patologia? Il fatto che il bagaglio cromosomico di un neonato non sia ascrivibile a un patrimonio binario accerta automaticamente il disturbo? Non ci troviamo di fronte a qualche evento raro. Secondo studi accreditati, su mille nascite 17 presentano caratteristiche di intersessualità e già lo scorso anno Nils Muiznieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, aveva ripreso l’Italia affinché non considerasse più l’intersessualità come una patologia e mettesse fine a interventi chirurgici che molto hanno delle più conosciute pratiche di mutilazione genitale. Tanti, troppi bambini che quando nascono sono sia maschio che femmina vengono tagliati e cuciti, talvolta con danni permanenti. Eppure fin troppe testimonianze – e fortunatamente tanti approfondimenti – hanno dimostrato come l’intervento chirurgico non sia affatto necessario, se non in casi estremi.
Quali sono i danni maggiori? Il principale è la tempestività con cui si interviene. Si decide per conto del bambino, in una fase – quella neonatale – in cui è difficile prevedere quale sarà la futura identità di genere del bambino. L’intersessuale non è un malato, è “altro”. Un tipo di altro che dovrebbe, forse, far riconsiderare la dualità maschio/femmina. Un’alterità che non è un concetto poi tanto innovativo. Pensiamo alla testimonianza del regista e scenografo Alec Butler, nato intersessuale e cresciuto come una femmina, oggi maschio “col ciclo”. Butler racconta dei suoi studi sulle popolazioni native del Canada, dove prima del colonialismo gli intersessuali venivano considerati doppiamente benedetti perché avevano in sé sia lo spirito maschile che quello femminile. Perché considerati individui dalla doppia spiritualità, spesso gli intersessuali erano sacerdoti, guaritori o maestri.
Germania, Francia, Australia e Nuova Zelanda hanno fatto dei passi avanti facendo un passo indietro, ossia depatologizzando l’intersessualità e abolendo pratiche invasive come quella chirurgica in età precoce. Sono questi i posti dove, accanto a “maschio” e “femmina” troviamo “neutro” o “terzo”, con le tutele giuridiche che ne derivano, dove quel nome designa un non ancora maschio/non ancora femmina. Hanno, in altri termini, scelto la libera autodeterminazione di un soggetto.
Per carità, il caso del piccolo di Palermo è un elogio alla buona chirurgia, tecnicamente ben eseguita, in una terra poi che la buona sanità la sta perdendo pezzo dopo pezzo per strada. Ma il trionfalismo e il giubilo, almeno personalmente, finiscono qui. Perché il bimbo non ha scelto. Perché domani il bimbo vorrebbe essere bimba, un conto è la genetica, un altro l’epigenetica. Perché potrebbe vivere con estremo disagio una mascolinità che non ha chiesto e perché quella piccola vagina gli è stata chiusa con una pratica che altrove si chiamerebbe infibulazione, tanto deprecata. E allora perché osteggiare questo non perfetto allineamento tra sesso cromosomico e sesso fenotipico? Il sensazionalismo scaturito dal caso di Palermo non risiede, almeno per la sottoscritta, negli interventi di alta chirurgia perfettamente riusciti. E’ l’arretratezza di cui è incrostata l’Italia, che lede la libertà di scelta individuale, in barba ai moniti sovranazionali. E’ solo questa che desta scalpore e sgomento.
Alessandra Maria