La recente vicenda giudiziaria che ha coinvolto il dissidente russo Oleg Orlov, cofondatore dell’organizzazione per i diritti umani Memorial, si è conclusa ieri con una condanna a due anni e sei mesi di carcere con l’accusa di “vilipendio reiterato” delle forze armate russe con le aggravanti di incitamento all’odio e all’ostilità nei confronti del personale militare.
La vicenda giudiziaria
La sentenza pronunciata dai giudici nel Tribunale Golovinskij di Mosca non ha sorpreso nessuno, tantomeno Orlov, che si è presentato alle udienze rifiutandosi di prendere parte attiva e leggendo “Il Processo” di Kafka.
“La mia situazione ha qualcosa in comune con quella in cui è finito il protagonista di Kafka: assurdità e tirannia travestite da adesione formale ad alcune procedure pseudo-legali”, ha dichiarato Orlov, aggiungendo che “Siamo accusati di discredito, ma nessuno spiega come questo sia diverso dalla critica legittima. Siamo accusato di diffondere informazioni consapevolmente false, ma nessuno si preoccupa di mostrare cosa c’è di falso. Quando proviamo a dimostrare perché le informazioni sono effettivamente accurate, questi sforzi diventano motivo di procedimento penale”.
Orlov fa indirettamente riferimento all’articolo da lui pubblicato nel 2023 sul sito francese Mediapart intitolato “Hanno voluto il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto”, in cui criticava apertamente l’operazione militare speciale russa in Ucraina e accusava il regime di Putin di fascismo. Nell’articolo scriveva: “Il Paese, che si è allontanato dal totalitarismo comunista trent’anni fa, è ricaduto nel totalitarismo, ma ora fascista”.
L’articolo è stato considerato una prova evidente di ostilità ideologica contro i valori tradizionali russi e nell’ottobre dello stesso anno il Tribunale condannò Orlov a pagare una multa di 150mila rubli (circa 1500 dollari). Una sentenza considerata troppo mite, al punto da essere annullata poco dopo, rinviando il caso ai pubblici ministeri. Caso che si è concluso ieri con la condanna dello stesso Orlov, che durante le udienze si è rifiutato anche di convocare i testimoni della difesa per non esporli ai rischi dell’essere inclusi nel registro degli “agenti stranieri”, che per la Russia sono tutte quelle organizzazioni o individui che ritiene impegnati in attività politiche e che ricevono finanziamenti internazionali, comprese ong, giornali, blog e siti internet. La legge fu emanata nel 2012, creando di fatto un elenco di entità politicamente sgradite al regime.
Tuttavia, nelle sue ultime dichiarazioni alla stampa, il dissidente russo 70enne ha detto di non essersi pentito di non aver lasciato la Russia poiché “questo processo contro di me lo considero parte del mio lavoro. Fa parte del mio impegno in difesa dei diritti umani”.
Orlov si è sempre dichiarato innocente.
Subito dopo la pronuncia, 28 organizzazioni russe e internazionali per i diritti umani, tra cui la stessa Memorial, hanno condannato la sentenza del Tribunale di Golovinsky chiedendo alle autorità russe l’annullamento della condanna e agli attori internazionali di utilizzare la propria influenza per rendere il governo russo responsabile delle persistenti violazioni dei diritti umani.
“Orlov, 70 anni, è un veterano difensore dei diritti umani che ha dedicato la sua vita a denunciare gli abusi ai diritti e a cercare giustizia per le vittime. Il suo “crimine” è stato protestare contro la guerra del Cremlino in Ucraina e la crescente repressione politica all’interno della Russia”.
Storia di un dissidente russo
L’azione politica di Orlov inizia alla fine degli anni ’70, con la produzione di opuscoli informativi circa la guerra in corso in Afghanistan e la situazione politica in Polonia con la nascita del movimento Solidarność.
Nel 1988 divenne uno dei pionieri dell’organizzazione Memorial insieme ad altri attivisti tra cui il premio Nobel per la pace Andrei Sakharov e la matematica Svetlana Gannuskina. All’epoca della sua fondazione, Memorial aveva come obiettivo principale la diffusione delle informazioni sulle repressioni all’interno dell’Unione Sovietica e sulla liberazione dei prigionieri politici. Nel ’91 l’organizzazione venne rinominata “International historical educational charitable and human rights society Memorial” di cui Orlov divenne membro del consiglio. Ad oggi si occupa anche di tutelare i diritti umani nella Russia di Putin attraverso il Memorial Human Rights Centre.
Negli anni ’90, quando la Perestrojka di Mikhail Gorbaciov scuoteva le fondamenta dell’Unione Sovietica, Oleg Orlov entrò a far parte della Commissione parlamentare per i diritti dell’uomo, creata dal Consiglio Supremo Sovietico. In quegli anni si impegnò nella revisione delle leggi penitenziarie, nella reintegrazione politica delle vittime della repressione e alle questioni dei diritti umani nelle aree di conflitto armato all’interno dell’URSS.
Dal ’94, insieme a Sergei Kovalev, all’epoca presidente della Commissione, si occupò della guerra in Cecenia, dove prese parte ai negoziati per lo scambio di prigionieri.
La sua battaglia per i diritti umani continuò, non senza rischi e ostacoli. Nel 2007, con un aumento del numero di sequestri e omicidi dei cittadini pacifici dell’Inguscezia sotto il governo del presidente Murat Zyazikov, Memorial realizzò una relazione intitolata “Inguscezia nel 2007: Cosa Succederà Dopo?” in cui si descriveva la situazione nella repubblica caucasica settentrionale come quasi catastrofica. Nello stesso anno, Orlov e alcuni suoi colleghi furono rapiti e picchiati.
Nel 2009, Natalia Estemirova, membro del HRC Memorial, venne assassinata e Orlov ne attribuì la colpa all’allora presidente ceceno Razman Kadyrov. In seguito Orlov fu costretto a sospendere gli uffici ceceni di Memorial a causa delle relazioni ostili con il governo che aveva avviato un processo penale contro di lui. Nello stesso anno il Parlamento europeo assegnò a Memorial e ai suoi tre rappresentanti Oleg Orlov, Sergey Kovalev e Lyudmila Alexeeva il Premio Andrei Sakharov per la Libertà di Pensiero.
Il premio Nobel del 2022 a Memorial
La “Società Internazionale Storica Educativa Benefica e per i Diritti Umani Memorial” rappresenta una testimonianza della costante ricerca di giustizia e diritti umani in Russia. Vantando oltre 50 gruppi in tutta la Russia e 11 in altri Paesi (tra cui Italia, Francia, Belgio e Ucraina), ha come obiettivo comune la protezione dei diritti umani e la documentazione ed educazione relativa ai temi della violenza, del totalitarismo e dei regimi illiberali.
Negli anni ’90, i ricercatori di Memorial ebbero accesso agli archivi centrali del servizio segreto russo, il FSB, accumulando un vasto archivio di testimonianze relative alla collettivizzazione forzata, alle persecuzioni politiche nei Gulag e alle epurazioni staliniane. Tuttavia, questo lavoro di ricostruzione storica entrò in conflitto diretto con i tentativi di Putin di costruire un mito nazionale attorno al regime sovietico e alle politiche staliniane. Nel dicembre 2008, le autorità fecero una retata negli uffici di Memorial a San Pietroburgo, sequestrando 11 hard disk contenenti 20 anni di risultati di ricerca.
Memorial affrontò ulteriori persecuzioni durante la Seconda Guerra Cecena avviata da Vladimir Putin. A Grozny, la capitale della Cecenia, l’ufficio di Memorial fu spesso preso di mira dalle forze federali russe fino all’assassinio nel 2009 dell’attivista di Memorial Natalia Estemirova, collaboratrice della giornalista assassinata Anna Politkovskaya.
Dopo l’approvazione della legge russa sugli agenti stranieri nel luglio 2012, Memorial affrontò una crescente pressione da parte del governo. Il 21 luglio 2014, il Memorial Human Rights Centre fu etichettato come “agente straniero” dal Ministero della Giustizia. Questa designazione fu estesa nel novembre 2015 al Memorial Research and Information Centre di San Pietroburgo e il 4 ottobre 2016 allo stesso Memorial International.
Nel 2021, la Corte suprema russa ha ordinato la chiusura di Memorial International per aver violato la legge sugli “agenti stranieri”. L’anno successivo, il Comitato Nobel norvegese ha conferito a Memorial il Premio Nobel per la Pace, insieme al Center for Civil Liberties ucraino e all’attivista bielorusso Ales Bialiatski, riconoscendo i loro sforzi nel documentare crimini di guerra, violazioni dei diritti umani e abusi di potere in Russia.