Si è svolta il 9 ottobre, nel degradato quartiere reggino di Archi, una piccola ma rumorosa manifestazione di protesta razzista.
La manifestazione, a cui non avrebbero preso parte più di un centinaio di persone, aveva lo scopo di convincere le istituzioni (in primis il comune di Reggio Calabria) a chiudere il centro di accoglienza che da qualche tempo è stato allestito negli ex locali della facoltà di giurisprudenza del quartiere di Archi. Questo centro ospita, attualmente, circa trecento minori richiedenti asilo, tutti in attesa che la loro domanda di asilo venga esaminata.
Lo squallore di questa manifestazione, per chi abbia mai visto – anche solo passando col treno – il quartiere lascia allibiti. Archi è infatti, da sempre, il regno incontrastato di una delle famiglie di ‘ndrangheta più potenti dell’intera Calabria (i De Stefano), e questa asfissiante presenza è la causa principale del suo profondo degrado. Il paesaggio è, in tutto e per tutto, identico a quello di una città appena bombardata. Case incompiute, al punto che è quasi impossibile imbattersi in un’abitazione ultimata, immondizia e silenzio. Gli strascichi di una guerra di ‘ndrangheta che ha lasciato centinaia di morti sulle strade di Archi si possono ancora avvertire nell’aria e nello sguardo dei soldati dei De Stefano, a cui nulla sfugge.
Quella che si è cercato di far passare come una manifestazione spontanea, in realtà denuncia la presenza di una manina “nera”, così come raccontato da Alessia Candito sul Corriere della Calabria. Avanguardia Nazionale, storico gruppo neofascista più volte sciolto d’autorità e più volte ricostituito, cerca di rimettere saldamente piede a Reggio Calabria partendo da Archi. E la scelta non è casuale.
Proprio con i De Stefano infatti, nel 1978 è stata cristallizzata in un processo contro le connivenze tra ‘ndrangheta ed estrema destra la profonda vicinanza tra l’allora boss Paolo De Stefano e Stefano delle Chiaie, leader di Avanguardia Nazionale. In quella sede venne anche appurato come parte della latitanza di Delle Chiaie si svolse a Roma, sotto la protezione degli stessi De Stefano, e come ai moti reggini del 1970 (e all’immediatamente successivo Golpe Borghese) avrebbero dovuto prendere parte anche elementi mafiosi delle famiglie del reggino, in primis di quella di Archi.
Di nuovo, l’estrema destra cerca di riemergere attraverso la più squallida delle strategie politiche, ovvero scatenando l’ennesima guerra tra poveri. E gli abitanti di Archi, prontamente hanno risposto all’appello contro trecento poveri disgraziati. Mentre quelli lanciati per far cadere il muro di omertà innalzato dalla ‘ndrangheta che soffoca il quartiere cadono, puntualmente, nel vuoto.
Così come a Rosarno sette anni fa, la storia si ripete. Continuando a guardare la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma ignorando la trave che sta nel proprio.
Lorenzo Spizzirri