Quando si tratta dei più piccoli, si crede diffusamente che la pratica dell’educazione consista nel trasmettere una serie di norme su ciò che si fa e ciò che non si fa. Ma se la dualità fra consenso e bambini non si limitasse a quel che noi accordiamo loro ma che, analogamente, occorre far caso a cosa loro accordano a noi?
Consenso e bambini, un binomio complesso che raccoglie in sé tutta una serie di domande e dubbi legittimi che l’educatore si pone sin dai primi momenti di interazione col piccolo.
Se educare significa trasmettere e condividere tutta una serie di conoscenze e pratiche comportamentali, è anche vero che ciò non può essere fatto senza una conseguente osservazione. Leggere il comportamento dei bambini, attraverso le loro reazioni e il loro comportamento spontaneo è il primo passo per capire se il nostro tentativo di condivisione sta funzionando.
Quando si parla di educazione, il primo step naturale al quale si pensa è la famiglia e, in particolare, la figura genitoriale. Essere genitori è un ruolo che necessita apprendimento, un cammino in divenire e una missione consacrata (così dovrebbe essere) all’ascolto.
Fioccano libri su libri dedicati alla letteratura per neogenitori, saggi che osservano le tendenze comportamentali dei più piccoli e le loro risposte agli stimoli esterni.
Ma è possibile educare senza ricorrere a questi strumenti?
Avere una buona consapevolezza del proprio ruolo e delle dinamiche ad esso correlate è fondamentale. In questo senso, perché non farsi aiutare da un consulto, una lettura?
Tuttavia, al di là degli strumenti di cui fortunatamente si può disporre, il primo step potrebbe risiedere proprio nell’ascolto. Ascoltare non significa mettere da parte sé stessi o i propri principi educativi, ma connettersi con l’altro e costruire un ponte. Questo, vale ancor di più per i bambini che faticano a stabilire una comunicazione evoluta intesa nel senso logico-razionale caratteristico di uno scambio adulto.
I bambini comunicano in modo differente, ma ciò non significa sbagliato o inefficiente.
Tra le esternazioni indirette di un bisogno, possiamo osservare ad esempio i cosiddetti capricci. Si è osservato che un bambino insicuro, che percepisce una scarsa attenzione da parte dei genitori, potrebbe evolvere il suo comportamento in una serie di esternazioni contrarie, manifestando rabbia, pianto, scarsa collaborazione. In questi casi, il bambino viene subito raggiunto, rimproverato. Egli registra così una formula chiara: se faccio chiasso, ottengo attenzione. Il rimprovero è pur sempre attenzione.
Parallelamente, però, esistono esternazioni dirette e puntuali attraverso le quali i bambini ci comunicano esattamente cosa vogliono, o non vogliono. Qualcuno di noi ricorda ancora di non aver mai avuto voglia di dare il bacetto o stare in braccio a un certo parente, magari perché odorava troppo di sigaretta, o magari per una sensazione inintelligibile che ci trasmetteva. Fatto sta che non ci andava. Ora, qualcuno di noi ricorderà anche di esser stato spronato dai genitori ad andar comunque in braccio o a dar comunque quel bacio.
Perché altrimenti non sta bene, altrimenti, perché occorre manifestare gratitudine per un regalo ricevuto o una visita non richiesta.
I bias e le conseguenti implicazioni che si sviluppano in risposta a questo genere di eventi possono variare a seconda del contesto circostante e del complesso ordine psicologico-cognitivo che caratterizza il bambino. In ogni caso, una cosa è certa: si sta eseguendo una imposizione sulla manifestazione della volontà del piccolo. Osservando la dinamica che intercorre fra consenso e bambini, in questo esempio notiamo che il piccolo si stia opponendo un’esternazione affettivo-emotiva, scoprendo parallelamente che gli viene a sua volta negato questo diritto al consenso.
Consenso e dissenso, la facoltà di dire di no. Perché, se in certi contesti, spronare un bambino ad aprirsi a nuove esperienze può essere una missione valida, in altri si rivela una mera forzatura della sua volontà.
Un bambino può essere educato al fatto che si può manifestare gratitudine al prossimo senza dover necessariamente dover alterare la propria dimensione emotiva.
Un bambino può salutare dando la mano, non è indispensabile il bacio; può, parallelamente, ringraziare ed esprimere a parole quanto abbia gradito un dono, sorridere, lasciando da parte il contatto fisico.
Occorre insomma tenere conto della dimensione emotiva del bambino, che è variabile e perfettamente legittima. Riflettere sul binomio consenso e bambini è fondamentale in questo ambito, poiché il rifiuto è sempre espressione di una percezione. Piuttosto che imporre, è utile spiegare. Ad esempio, far notare che cambiarlo è una necessità, perché e bagnato, perché è sporco, evitando il dispotico “perché è così”.
Includere i bambini nelle dinamiche che li riguardano e aiutarli a guardare dentro sé stessi può davvero contribuire a uno sviluppo sano della propria consapevolezza.