Quest’oggi il Comitato per il Nobel per la Letteratura ha annunciato di aver assegnato il premio 2016 a Bob Dylan – nome d’arte di Robert Zimmermann.
Quasi certamente il più celebre fra i Nobel (non solo letterari) da diversi decenni, Dylan è nato a Minneapolis negli States nel 1941, e da più di mezzo secolo è l’alfiere della musica popolare moderna.
Che è come chiamerei io tutto ciò che va sotto il nome di pop, rock, folck-rock ecc.
Naturalmente, distinguendo meglio che si possa il pop-rock industriale – sempre più dilagante, sempre più ripetitivo come anche recenti indagini scientifiche dimostrano – dal multiforme arcipelago della musica d’autore, o comunque meno improntata a modelli campionati e sintetici.
La carriera di Dylan : il folk-rock
All’origine del suo stile e anzi del genere che ha praticamente fondato, c’è la musica folk ( le ballate popolari coi loro temi, ritmi, melodie e parole) mescolate alle sonorità contemporanee, in particolare dopo il contestatissimo passaggio dall’acustico all’amplificazione elettronica nel 1964.
C’è una linea che parte da Woody Guthrie e passando da Dylan arriva sino ad oggi, attraverso molte trasformazioni – tante delle quali meno significative, anche parlando della lunga carriera di quest’ultimo Nobel.
Guthrie a sua volta aveva ripreso e rilanciato la musica popolare tradizionale- che peraltro per vie traverse stava già innervando rock, jazz, soul, blues insomma stili cui anch’egli attingeva – e l’aveva fatto in un contesto di impegno civile e politico molto caratteristico.
Erano gli anni, quelli di Guthrie, della Grande recessione, dei fascismi e della crisi generale.
E se Dylan ha incarnato più di tutti l’impegno sociale e politico, ma nell’epoca della Grande crescita e del progresso, forse non è a caso se il Nobel gli venga assegnato oggi – nell’epoca della Nuova recessione.
La lunga strada di Dylan verso il Nobel : l’impegno civile
Del Nobel a Dylan si parlava da sei o sette anni, è vero, ma il momento è significativo io credo.
Dato che il Comitato del Nobel per la Letteratura agisce da molti anni come una sorta di Commissione per le buone idee dell’Umanità – e che segue insomma criteri spesso avulsi da quelli meramente letterari, come rotazione nella distribuzione geografica dei premiati, valorizzazione dell’impegno civile e politico ecc. – dato tutto ciò io penso che se il premio a Dylan giunge adesso non sia per caso.
Con Dylan viene premiato, in faccia a Trump ma non solo bensì a tutta un’epoca di crisi e alienazione collettiva, con Dylan dicevo viene premiata tutta una tradizione di impegno politico, al contempo d’autore e di grandissima popolarità. Una tradizione che oggi servirebbe rilanciare con forza.
Che poi Dylan da tempo abbia finito per integrarsi nel sistema del music-business, e al contempo le giovani generazioni non lo ascoltino quasi più – e che insomma un Nobel non fa primavera…bé questo è ancora un altro discorso, qui non esauribile.
Bob Dylan è letteratura : o sono solo canzonette?
Altro tema è anche quello della trasformazione della definizione di letteratura, che sta accompagnando l’assegnazione dei Nobel.
Certamente non dobbiamo attribuire eccessiva rilevanza alle scelte dei giurati di Stoccolma.
Ma se il premio più famoso, ma al contempo più solenne, che si assegni oggi nel mondo viene assegnato al Menestrello del folk : questo pure non è per casualità. High e Low Art si confondono una volta per tutte.
Tanto più che, e ovviamente questo è un caso, ciò accade nel giorno in cui ci lascia Dario Fo – il Giullare che ricevette il Nobel nel 1997, cosa che scatenò numerose polemiche che partivano dall’idea che quella di Fo non fosse propriamente letteratura.
Per esempio, di recente Safran Foer, uno scrittore che cerca di miscelare sperimentalismo e tradizione romanzesca, contestò l’ipotesi di un Nobel a Dylan. Perché, sosteneva, la letteratura è quella forma d’arte si avvale delle parole, se vogliamo della musica delle parole, ma non di immagini, musica ecc.
Anche qui preferisco non dire la mia, per quanto possa poi interessare, ma noto che il Nobel a Dylan è meno eccentrico di quanto si creda rispetto alla linea tracciata dai giurati.
Il Nobel e i generi non tradizionali prima di Dylan
Il riconoscimento assegnato l’anno passato a Svetlana Aleksievic (scrittrice ma prima ancora giornalista) premiò infatti proprio un impegnativo e coraggioso pastiche di memorie, elementi storici, invenzione, reportage, autobiografismi e realismo.
Per esempio, interviste e racconti orali, trasformati in letteratura ma sperando di non tradirli. Ciò che oggi rappresenta un filone di studio anche della Casa della Memoria e della Storia e del circolo Gianni Bosio a Roma – portati avanti da Alessandro Portelli e dai suoi collaboratori, che alla tradizione di Guthrie e non solo riallacciano il proprio impegno. Qualcosa di analogo ma anche molto diverso è ciò che cercano di costruire i Wu Ming con la loro collettiva New Italian Epic.
Una autrice di nicchia, la Aleksievic, quanto di più letterario e meno pop si potesse trovare – eppure una sperimentatrice e una indagatrice della realtà quotidiana e della vita popolare, delle esistenze comuni. Quindi qualcosa che si può aver l’ardire di accostare a Dylan, se tanto ardire hanno avuto i giurati del Nobel.
La letteratura cerca di raccontare la realtà: cantando
Storie dal basso, impegno politico, battaglie collettive, mescolanza di generi e registri stilistici: il Nobel cerca di uscire dall’angolo e di mettersi al passo con la realtà.
Una realtà dove la letteratura tradizionale rischia di relegarsi in una nicchia – anche se non mancano gli autori coraggiosi, e i narratori sontuosi sulla scia dei tempi d’oro. Ma il tema urgente è parlare delle masse, delle tantissime esistenze individuali che non arrivano all’altezza dei salotti e dei premi; al tempo stesso tenere il passo delle trasformazioni tecnologiche della produzione e distribuzione di contenuti.
Parlare di crisi del romanzo era una banalità già trent’anni addietro – e forse dai tempi di Joyce Kafka Proust e Musil – ma non c’è dubbio che oggi lo stesso sperimentalismo sia stato scavalcato dal mondo.
Il romanzo nacque per raccontare la lotta dell’individuo che cerca di dare un senso al mondo in folle e perenne trasformazione – dal Chisciotte in poi.
L’ultimo secolo ha forse aperto una nuova fase, in cui la fiducia nel senso della storia e in un ruolo chiaro del singolo nella realtà diventava sempre più problematica: ciò spiega il Nobel a Claude Simon al suo Storia nel 1985 – con la sua mescolanza di grande e piccola storia, di memoria autobiografia e irriducibile realtà esterna.
Dalla crisi del romanzo all’epica popolare : il ruolo di Dylan
Oggi il problema è che se non sia morto, non il romanzo, ma il romanzesco stesso : l’avventura di cercare un senso nelle cose e nella vita.
Ma cosa c’è di più romanzesco, forse donchisciottesco, della vicenda di Hurricane e della omonima canzone che gli dedicò il Menestrello più grande nel 1975 ?
Forse quanto riassume al meglio tutta la storia del rock: una persona che lotta contro un sistema ingiusto. Una vicenda che il capolavoro di Dylan ha fatto rifulgere e trasformato in mito – cioè modello, e racconto.
Bob Dylan in definitiva è il massimo esponente di quell’arte che ha creato un connubio fra il respiro della grande vicenda umana e la vita quotidiana delle masse : ha dato vita a una nuova epica popolare.
In questo senso, forse, il Premio Nobel lascia indietro il genere del romanzo per tornare a celebrare l’ancor più antico genere dell’epica.
This Land is Your Land
Le canzoni di Dylan, in fondo, sono pur sempre dei racconti – sono ballate, e le parole sono davvero un di più rispetto alla melodia: com’era alle origini della musica, in cui la melodia serviva a tenere a mente le parole.
Forse in questo senso non è giusto contestarne la radice letteraria. Allo stesso modo in cui le opere della Aleksievic riflettono pur sempre “una cultura del racconto”.
In un’epoca in cui non abbiamo più fiducia nella Storia, comunque, e la realtà sembra irrazionale e alienante, le storie cantate da Dylan ci servono più che mai.
L’arte ha la funzione di riconciliarci in qualche modo col nostro tempo, e con la terra che ci ospita, fermando il tempo : rac-contandolo, rac-cogliendolo.
E se anche Omero, in fondo, era un cantastorie epico e anzi forse un umile aedo : oggi almeno possiamo raccontarci e cantare, al modo di Woody Guthrie, il maestro di Dylan, che “questa terra è la mia terra”.
ALESSIO ESPOSITO