L’evoluzione costante del mondo del lavoro porta le imprese a pensare a nuovi modi di gestire le dinamiche aziendali e il personale. Questo impulso dimostra come l’inclusività nelle aziende possa diventare un valore aggiunto capace non solo di generare ricchezza ma in grado anche di costruire un ambiente colorato e pronto a rispondere a stimoli sempre più sfidanti.
L’inclusività nelle aziende è un tema che in questi ultimi anni sta guadagnando sempre più centralità nei contesti professionali. Accanto alla sostenibilità e all’innovazione, la cultura d’impresa sta via via accogliendo la consapevolezza che includere la diversità e ragionare sui diritti può realmente influenzare positivamente il mercato.
Cosa si intende per inclusività nelle aziende?
L’inclusività nelle aziende è un insieme composito di processi volti alla promozione di un ambiente multiculturale; vale a dire, un ambiente permeato dall’apporto che la diversità può offrire. Questo passo si attua garantendo l’accesso lavorativo alle categorie che talvolta rischiano di rimanere indietro nel mondo del lavoro, a partire dalla fiducia nei giovani, grandi svantaggiati dell’ultimo ventennio, passando per l’accoglienza dell’internazionalità, così come l’apertura ai professionisti che non hanno avuto un percorso professionale per così dire “lineare” o delle persone con disabilità. Il concetto si basa, in soldoni, nell’accogliere senza pregiudizio, promuovendo un contesto lavorativo multi-sfaccettato.
Fattori di discriminazione
In Italia, in particolar modo, si sente spesso dire che un fattore fortemente discriminante nel mondo del lavoro sia l’età. Talvolta si è considerati troppo giovani e immaturi per un determinato ruolo, talaltra ci si propone per una posizione per la quale l’età può addirittura risultare troppo avanzata.
Supponiamo che una data figura non abbia avuto un percorso lavorativo lineare e che essa si proponga per un ruolo di livello base in un contesto differente dal suo abituale, qualcosa che magari coincide con studi pregressi mai portati avanti poi lavorativamente parlando: ecco che si crea il cortocircuito. La figura che si propone magari sta sopra i trent’anni e, pertanto, viene scartata aprioristicamente per uno stage.
Il fattore età, insomma, sembra risparmi nessuno.
Quali sono le altre barriere? Le culture, ad esempio. Ultimamente, si parla sovente delle questioni religiose e delle restrizioni che alcuni paesi europei starebbero adottando ad esempio sulle donne che scelgono di indossare l’Hijab. Ma non solo religione, anche le competenze linguistiche sembrano rappresentare un ostacolo importante a causa della poca predisposizione all’uso di una lingua ponte che possa avvicinare al contesto lavorativo nuove figure internazionali.
Occorre poi considerare le donne con figli, coloro che hanno un familiare con gravi disabilità a carico, le figure con disabilità o disturbi di varia natura ma che vogliono mettersi alla prova nel mondo del lavoro.
Categorie che talvolta incontrano poca flessibilità sul lavoro su turni o sulla possibilità di essere inclusi in un progetto lavorativo che contempli la modalità mista.
Inversione di tendenza e benefit dell’inclusività
L’inclusività nelle aziende è diventato tema cruciale degli ultimi anni, soggetto di osservazione e studio da parte di agenzie, università e multinazionali.
Fra i risultati positivi registrati in un contesto lavorativo inclusivo si registrano:
- Capacità di innovazione, spesso influenzate dalle differenze di pensiero;
- Maggior appetibilità per i giovani e conseguente fidelizzazione;
- La varietà di figure coinvolte migliora la capacità di prendere decisioni importanti;
- Successo sul cliente, che diviene così fidelizzato.
Sono molti i report che spiegano come una migliore salute e considerazione del lavoratore possono effettivamente generare un miglioramento della resa lavorativa e dei guadagni. Per l’anno 2024, McKinsey ha pubblicato una serie di obbiettivi e propositi legati alla sostenibilità e all’inclusività, basati su dati e osservazioni degli anni precedenti e orientati verso una crescita positiva.
Fra questi report si parla di salute delle donne, di sostegno e prevenzione delle molestie, ma anche di connessione globale e lotta alle discriminazioni di matrice razzista.
Oltretutto, come rileva Diversity Lab, l’inclusività nelle aziende è un impegno che acquisisce risonanza fra i consumatori che sembrerebbero premiare questa tendenza. I dati ci dicono, infatti, che i comportamenti d’acquisto registrano una tendenza positiva da parte dei consumatori e che già nel 2018/2019 oltre il 50% dei consumatori hanno preferito acquistare i prodotti di brand inclusivi.
Questi sono i dati di una crescita ambiziosa, che si propone di farsi spazio fra i vecchi sistemi e che sta trovando modo di diffondersi capillarmente. Non resta che sperare che anche il nostro Paese riesca a salire a bordo di questo progetto globale, riuscendo a distinguersi virtuosamente.