Il genere “black horror” si concentra sempre più sulle disuguaglianze razziali e sociali, presentando “Them” (2021) come un esempio tangibile nella rappresentazione del razzismo. La rappresentazione grafica del razzismo in “Them” segue la storia della famiglia Emory trasferitasi a Los Angeles, sconvolta da forme spietate e inspiegabili di discriminazione razziale, offrendo uno sguardo penetrante sulle difficoltà e sulle tensioni che questa famiglia afroamericana affronta nell’ambiente ostile della città.
All’interno dell’universo cinematografico, l’intersezione tra il genere dell’horror e le questioni sociali, in particolare quelle legate alle disparità razziali, sta guadagnando sempre più rilevanza. Film e serie TV come “Them” (2021), disponibili su Amazon Prime Video, rappresentano notevoli esempi di questo emergente sottogenere noto come “black horror”. Creata da Little Marvin e prodotta da Lena Waithe, la trama di “Them” si svolge a Los Angeles, dove la famiglia Emory, di origine afroamericana, si trasferisce in cerca di opportunità, solo per trovarsi di fronte a un razzismo implacabile e inimmaginabile.
La rappresentazione grafica del razzismo in “Them”
Nella prima stagione della serie, etichettata da Amazon come un’antologia, Marvin ci presenta una famiglia afroamericana che si trasferisce dalla Carolina del Nord a Los Angeles come parte della grande migrazione degli anni ’50. Tuttavia, una volta arrivati, si trovano di fronte a un livello di razzismo che non avrebbero mai potuto immaginare. I genitori, Henry e Lucky Emory, interpretati da Ashley Thomas e Deborah Ayorinde, rifiutano di considerarsi vittime, nonostante si trovino di fronte a un mondo determinato a trascinarli nel baratro. Nel frattempo, le loro figlie, interpretate da Shahadi Wright Joseph e Melody Hurd, affrontano le proprie angoscianti sfide nell’essere accettate nelle rispettive scuole come uniche ragazze nere.
La famiglia Emory è tormentata dai terribili ricordi del passato, e le loro esperienze pregresse sono intrecciate con i traumi attuali che devono affrontare. In un momento significativo, Lucky inizia ad avere allucinazioni riguardo ai capelli della sua figlia più piccola che prendono fuoco a causa di una piastra per capelli calda ed anche è tormentata dal ricordo del figlio più piccolo assassinato, mentre Henry immagina l’apparizione di un artista con il volto nero (blackface), simboleggiando una doppia identità tanto caricaturale quanto inquietante. Il terrore che si abbatte sugli Emory durante i primi 10 giorni nella loro nuova casa a Compton mescola atrocità commesse da esseri umani ed eventi che possono essere spiegati solo in termini soprannaturali.
In modo simile, nell’ambito del cinema dell’orrore afroamericano, ci sono negli ultimi anni opere potenti che affrontano il razzismo negli Stati Uniti, come “Get Out” (2017), “Us” (2019) e “Nope” (2022) di Jordan Peele. Tutte queste produzioni cinematografiche offrono profonde riflessioni sul razzismo, andando oltre la mera funzione di intrattenimento ed esplorando complesse questioni sociali.
In questo contesto, il “black horror” emerge come uno strumento essenziale per stimolare il dibattito sociale. “Them”, insieme a opere recenti come “Lovecraft Country” (2020), rappresenta una forma di catarsi esagerata e una risposta artistica alle profondità del razzismo, dalla prospettiva delle persone nere. Queste opere utilizzano elementi iperbolici per costruire narrazioni che esplorano le radici storiche e le manifestazioni contemporanee del razzismo, in un’eco alle critiche di Baldwin sulla superficialità della paura nei film dell’orrore in cui i protagonisti sono persone bianche.
Come riportato in un articolo su “black horror” del “The New York Times“, nel 1976 James Baldwin criticò il film “L’Esorcista” nel suo saggio “Il Diavolo trova lavoro”. Mentre il film terrorizzava il pubblico con la sua narrativa soprannaturale, Baldwin argomentava che il vero orrore per gli afroamericani risiedeva nella vita quotidiana segnata dal razzismo. Sottolineava che la paura provata dagli spettatori bianchi nel guardare il film della bambina che gira completamente la testa era superficiale rispetto agli orrori reali affrontati dai neri ogni giorno.
Baldwin criticava la tendenza del cinema a offrire mero escapismo anziché affrontare autenticamente le questioni razziali, una questione superata dalla crescita del “black horror” negli ultimi anni e dall’avanzamento, sì bene che polemico dentro del neoliberismo, delle politiche identitarie. Pertanto, questo sottogenere dell’horror afroamericano è diventato una piattaforma cinematografica che consente alle comunità nere di esprimere le proprie esperienze uniche di orrore razziale. Collocando la serie “Them” in questo contesto, possiamo vedere che essa non solo intrattiene, ma amplifica anche le voci trascurate e silenziate, affrontando i terrori intrinseci al razzismo strutturale in modo crudo.
Se gli spettatori sono rimasti scioccati da “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick, è meglio evitare questa serie, poiché presenta molte scene che ricordano quell’atmosfera di terrore sociale violento. Tuttavia, la scelta di adottare un approccio esagerato in “Them” non è casuale: è una risposta al surrealismo delle ferite causate dal razzismo negli Stati Uniti. Proprio come il “black horror” cerca di offrire una catarsi necessaria al pubblico, sfidandolo a confrontarsi con le profondità delle questioni sociali, la serie invita gli spettatori a riflettere sul contesto attuale e sulle persistenti fratture coloniali nella società americana.
Inoltre, “Them” incorpora le teorie di Frantz Fanon e W.E.B. Du Bois. La serie, abbracciando la strategia della sovversione e mettendo in luce le ferite psicologiche del razzismo sistemico, specialmente in contesti con il cupo retaggio storico del colonialismo, si rivela un potente veicolo di espressione e resistenza. “Them” esplora anche la “doppia coscienza”, teoria di Du Bois, concentrandosi sulle cicatrici interne ed esterne causate dalla discriminazione razziale. In questo modo, la serie offre una visione intensa dell’esperienza afroamericana nella società americana durante la grande migrazione degli anni ’50, ma che possiamo vedere esempi ancora oggi.
A questo riguardo, Il trasferimento della famiglia Emory dalla Carolina del Nord a Los Angeles è contestualizzato dalla complessità delle dinamiche sociali e razziali dell’epoca. Questa esperienza è permeata da sfide e discriminazioni, riflettendo il razzismo strutturale presente nelle società coloniali. Frantz Fanon, rinomato pensatore anticoloniale, argomenterebbe che questa esperienza è plasmata da un sistema che opprime e emargina le comunità nere, influenzando profondamente la loro identità e psiche.
Inoltre, la narrazione della serie “Them” illustra vivacemente la violenza razziale affrontata dalla famiglia Emory, evidenziando l’impatto psicologico ed emotivo di questi attacchi. W.E.B. Du Bois, noto per la sua profonda analisi della “doppia coscienza” del nero nella società americana, vedrebbe nella rappresentazione della violenza razziale una manifestazione della costante lotta per l’affermazione dell’identità nera. L’episodio che raffigura un atto di violenza razzista passato, rappresentato in modo grafico, evoca i ricordi dei traumi storici e risuona con le teorie di Du Bois sul peso del razzismo strutturale.
Il rifiuto della famiglia Emory di considerarsi vittima, nonostante le avversità, rivela un impulso di resistenza contro le ingiustizie. Frantz Fanon discuterebbe questa resistenza come una forma di rifiuto attivo del sistema oppressivo, una ricerca di autonomia e libertà. La presenza di elementi soprannaturali nella trama, come le allucinazioni di Lucky, può essere interpretata come un’espressione artistica della tensione tra le lotte quotidiane e le ferite psicologiche profonde causate dal razzismo.
“Them” non è solo una serie di horror al limite della sopportazione, ma una rappresentazione audace e scioccante della realtà del razzismo in molte forme, che ci sfida a confrontare gli orrori passati e presenti e promuove un dialogo cinematografico in corso sulla razza e l’ineguaglianza. È una serie dolorosa da guardare, con molti momenti in cui lo spettatore si sente colpito nello stomaco e privo di respiro. Se per molti può essere una vera tortura guardare questa serie, possiamo solo immaginare l’impatto reale del razzismo nella vita di tutte le persone razzializzate, come neri e immigrati in generale.