Quante volte ci siamo lamentati di questa vita che ci mette alla prova con infinite difficoltà. Quante volte abbiamo pensato che forse essere qualcun altro ci avrebbe reso più facili le cose.
E quante volte, invece di compatirci, abbiamo davvero pensato che ognuno di noi, in fondo, sta affrontando il suo cammino su “una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.”
Non serve dire che l’autore di queste parole è Eugenio Montale. Il 12 ottobre infatti si celebra il 120° anniversario della sua nascita.
Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni.”
Poeta del XX secolo, nacque a Genova nel 1896. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale e, anche a causa di questa esperienza, diventò un uomo e poeta in grado di “fisicizzare” il dolore in ogni sua forma.
Nel 1922 esordì sulla rivista “Primo Tempo“ redatta da Giacomo Debenedetti e Sergio Solmi.
A 29 anni arrivò la svolta: pubblicò “Ossi di Seppia“, contenente le Poesie scritte tra il 1920 e il 1925. La raccolta conteneva opere come “Cigola la carrucola del pozzo, Meriggiare pallido e assorto, Non chiederci la parola”.
Queste erano, e sono tuttora, legate da un unico filo conduttore: l’impossibilità di dare una risposta all’esistenza e la condanna a subire una vita che ha i suoi lati oscuri.
Il poeta, infatti, è avvantaggiato perché consapevole della sua sventura ma, allo stesso tempo, invidia lo “sciocco” che rimane all’oscuro di tutto.
In “Meriggiare pallido e assorto” Montale ci mostra come nessuno può sfuggire all’oscurità della vita.
“[…]E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.
(Eugenio Montale, 1925)
Ma è con la raccolta “Satura”, pubblicata nel 1971, e contenente oltre a “Satura I e Satura II” le sezioni “Xenia I e Xenia II”, che Montale si apre veramente a noi.
In “Xenia” racconta il rapporto con la moglie Drusilla Tanzi, sposata nel 1962 e morta solo un anno dopo. Soprannominata “mosca” a causa della sua miopia, Montale le dedica un’intera raccolta di Poesie, una tra le più belle rimane “Ho sceso dandoti il braccio”, la numero 5.
“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue“.
Una Poesia di amore puro. Una di quelle verità che si capisce solo vivendola, “Mosca” nonostante la sua cecità era la vera guida nella coppia. Una guida attenta e consapevole che la realtà, la maggior parte delle volte, è celata dietro false vite.
Morì il 12 settembre 1981 a Milano, dove dal 1948 al 1973 fu giornalista per il Corriere della Sera.
Si vocifera che una tra le tracce dell’esame di maturità del 2017 sarà proprio su Montale. Speriamo che i maturandi siano all’altezza del compito, ma soprattutto che il Ministero non faccia “pasticci” come nel 2008.
Federica Castellini