La legge italiana non tutela ancora le cittadine vittime di atroci dolori e innumerevoli disagi causati dal ciclo. Le donne italiane infatti, sono attualmente costrette a recarsi mensilmente sul posto di lavoro, nonostante le ripetute richieste sul congedo mestruale.
In cosa consiste effettivamente questa tanto ambita proposta di legge?
Il cosiddetto congedo mestruale si riferisce all’assenza giustificata per un massimo di tre giorni al mese, previo certificato medico attestante la dismenorrea. Una patologia particolarmente invalidante che prevede un dolore molto acuto al basso ventre. La richiesta potrebbe essere valida per ogni lavoratrice sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.
In Italia, giace in Parlamento dal 27 aprile 2016 una proposta di legge (n. 3781) avanzata dal Partito Democratico firmato Mura, Sbrollini, Iacono, Rubinato. Il provvedimento vede il congedo mestruale accompagnato da un’indennità pari al 100% della retribuzione giornaliera e coperto da contribuzione piena. Diritti già ottenuti da una grande percentuale dei Paesi orientali (Giappone, Corea del sud, Indonesia, Zambia, alcune province della Cina, Taiwan e Vietnam) e dalla Spagna (il primo dei Paesi dell’Unione Europea aderente all’iniziativa).
Un’evento positivo che il 21 febbraio 2023 porta il Parlamento italiano ad un nuovo disegno di legge da Alleanza Verdi-Sinistra. Quest’ultimo prevede l’istituzione di un congedo di due giorni, da concedere successivamente alla certificazione della relativa condizione.
La proposta è stata presentata anche grazie alle numerose proteste di studentesse, desiderose di rivendicazione del diritto di assentarsi dalle lezioni in caso di dismenorrea, vulvodinia ed endometriosi.
Precedentemente ad essa infatti, alcuni Istituti hanno messo in atto azioni individuali per garantire tutela alle ragazze in difficoltà durante le lezioni scolastiche. Un esempio tra tutti è quello del Liceo Boggio Lera di Catania, approvata dalla dirigente scolastica Valeria Pappalardo, che conferma:
“La richiesta è partita dagli stessi ragazzi, maschi e femmine, e ci auguriamo che anche altre scuole si adeguino.”
Eppure, una legge che cerca di venire incontro alle donne lavoratrici e alle studentesse, rischia di creare un divario ancora più incolmabile, soprattutto in ambito lavorativo.
Mariangela Zanni, presidente del Centro Veneto “progetti donna”, esprime il suo disappunto sulla questione evidenziando i possibili disagi che provocherebbe un congedo mestruale:
“Concretamente parlando, siamo ancora molto lontani dall’entrata in vigore di una politica del genere nel nostro paese, che è comunque piuttosto indietro, rispetto a tanti altri, per quanto riguarda il riconoscimento e la tutela del diritto alla salute e della libertà riproduttiva delle donne”, riflette Zanni. “In Italia, persiste inoltre una cultura del lavoro poco flessibile che spesso valuta la produttività in base alla quantità delle ore lavorate piuttosto che alla qualità delle prestazioni svolte. Questa mentalità è il motivo per cui spesso i datori di lavoro sono reticenti a concedere permessi e orari flessibili ai dipendenti e alle dipendenti. Il problema dell’occupazione femminile e della discriminazione di genere sui luoghi di lavoro deriva (anche) dalla convinzione che le donne siano meno produttive perché più inclini ad assentarsi per motivi familiari. Purtroppo, infatti, già la decisione di assumere una donna costituisce un incentivo a discriminarla e a preferire, piuttosto, un uomo. Per tutti i motivi appena descritti, se una misura come il congedo mestruale venisse introdotta non solo nei contratti di lavoro pubblico, ma anche nel privato, non è detto che garantirebbe davvero i diritti delle lavoratrici. La prospettiva di dover concedere una volta al mese un simile congedo alle dipendenti potrebbe trasformarsi in un ulteriore motivo di discriminazione o in una forma di ricatto da parte dei datori di lavoro, ampliando così il gender gap.”
Il congedo quindi, potrebbe portare alle creazione di uno stigma sociale, finendo così per far aumentare le discriminazioni soprattutto al momento dell’assunzione di un possibile lavoro. Infatti, nonostante l’articolo 17 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna – Dlgs 198/2006, in Italia non mancano le domande illegali in sede di assunzioni. È questa la paura di chi vorrebbe mettere in atto queste modifiche al sistema. Le donne sono tipicamente viste dalla società come il “sesso debole” e ciò andrebbe ad avvalorare questa convinzione basata su anni e anni di patriarcato e stereotipi.
D’altro canto però, è necessario parlare dei numerosi motivi per cui sarebbe finalmente possibile l’abbattimento dei tabù in ambito di mestruazioni. Dando la possibilità alle donne di conciliare meglio vita privata e lavorativa.
Per non parlare inoltre della consapevolezza e della presa di coscienza che verosimilmente avverrebbe da parte del sesso maschile, di una condizione a cui le donne devono sottostare una volta al mese.
Porterebbe quindi ad una vera e propria rivoluzione culturale, mettendo finalmente in atto un piccolo passo verso l’inclusività e la parità di genere.