Ares, dio della guerra: brutale e litigioso, irruento, turbolento e demoniaco. Snobbato da tutti gli dèi dell’Olimpo, compì molte imprese vittoriose e altre fallimentari, ché non sempre la guerra è la risposta corretta; in un duello fu sconfitto da Atena, dea guerrigliera anch’essa, ma di gran lunga più saggia. Afrodite fu sua amante e dalla loro unione nacquero Deimos (il Terrore), Phobos (la Paura), Eros, Anteros (l’Amore Corrisposto, fratello senza il quale Eros non cresceva mai) e Armonia. Ma oggi non è delle imprese eroiche dell’unione tra passione e guerra che leggerete. Oggi leggerete del processo che fece storia (e mito) riguardo Ares e il figlio di Poseidone.
La guerra sparge vittime e figli ogni giorno in ogni minuto e Ares sa che non c’è bisogno di un esercito per causare morti e dare vita a delle vere e proprie tragedie all’insegna dell’ingiustizia più totale. A volte è sufficiente un processo, una sentenza. Basta poco, pochissimo: basta svuotare di senso il principio della coerenza, della giustizia; basta cancellare le prove, manipolarle; basta far vincere solo chi ci guadagna dalla vittoria senza tenere in considerazione le vite lasciate a perire e a soffrire delle loro perdite.
Allirozio, figlio di Poseidone, un giorno tentò di violentare Alcippe, figlia di Ares avuta con la ninfa Eurite. Ares, animalesco e bruto come sempre, non ha pensato due volte alla soluzione da applicare in questa circostanza: lo uccise. Cos’altro può fare una demone bestiale come Ares? Uccidere.
Lo ha menato di botte, lo ha reso in poltiglia umana, lasciandolo irriconoscibile. Allirozio tentò una violenza e questo è ingiusto, ma non arrivò nemmeno in tempo a subire un regolare processo, come sarebbe stato giusto, poiché Ares fece di lui qualcosa di inumano tanto fu crudele il trattamento che non ebbe nemmeno il tempo di poter dire la sua, qualunque difesa fosse, giustificabile o meno.
Poseidone non si fece attendere e chiese un regolare processo accusando Ares per l’atto compiuto. Ma è qui che accadde qualcosa che mai nessun dio dell’Olimpo si sarebbe aspettato mai da un demone come lui: Ares riuscì a difendersi con un’arringa brillante.
Non è qualcosa che ci si aspetta da un dio come lui, uno capace solo di violenza bruta e irrazionale. Eppure, per quella volta, fu così che la passò liscia. Davanti a un tribunale composto da dodici dèi egli riuscì a discolparsi dell’omicidio e fu prosciolto regolarmente.
In una realtà mitologica come quella greca dove stupri, omicidi e crimini efferrati sono storie di ordinaria amministrazione, quello fu un giorno memorabile degno di un mito a sé stante. Così Ares rimane, brutale e violento, lì dove lo porta il vento, senza preferenza alcuna su chi s’ammazza contro chi, basta che ci sia una carneficina; aiutato anche dall’amica Eris che per il suo gaudio sparge maldicenze e zizzania pur di movimentare le acque. Forse fu proprio lei, quel giorno, ad animare i pensieri degli dèi, mossi a discordia nei confronti di Allirozio.
E di quel ragazzo, non rimase nulla. Tentò un crimine e avrebbe pagato, ma non gli fu data alcuna possibilità di riscatto e ogni uomo è immeritevole di morire fintanto ché sia possibile, per lui, ricevere giustizia o, quantomeno, subirla. Ma per il figlio di Poseidone non toccò questa sorte. Per lui fu morte e fu morte per mano di un omicida.
Ma quel giorno, nessuno lo seppe e Ares se ne liberò in un batter d’occhio. Per Allirozio, quel processo portò comunemente una sola sentenza, una banalità, un sotterfugio:
epilessia, la chiamarono, convinti dalle parole di Ares e così fu.
Ora la guerra può continuare in eterno, ingiusta e brutale così come piace ai più spietati degli dèi e ai più ciechi degli uomini.
Gea Di Bella