Domenica 2 ottobre, fra meno di 48 ore, otto milioni di ungheresi saranno chiamati alle urne per un referendum che già negli scorsi mesi, fortemente voluto dal primo ministro Viktor Orbàn, ha destato particolari polemiche.
La questione che ruota attorno al quesito referendario è relativa ai migranti, un tentativo abbastanza velato di venir meno agli obblighi comunitari e, per l’esattezza, a quel che Schengen prevede, nella sua promozione dell’area di libera circolazione. Il motivo alla base, la condizione di continuo “traffico umano” vissuta dall’Ungheria durante lo scorso anno, quando migliaia di rifugiati hanno attraversato, persino a piedi, il Paese lungo il confine serbo, per arrivare in terra tedesca.
Certo è che la già polemizzante Germania ha reintrodotto i controlli alla frontiera, per ispezionare il flusso proveniente dalla Grecia e, per l’appunto, dall’Ungheria, come anche Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi, Francia e Danimarca, così di fatto sospendendo a fronte del mantenimento di un ambiguamente definito “ordine pubblico” quanto nella pratica il Trattato prevede.
Il referendum pone la domanda: “Volete che l’Unione Europea abbia il potere di introdurre permanentemente in Ungheria non ungheresi provenienti da Paesi terzi, senza il consenso del Parlamento?”, un quesito fin troppo sfacciato per i più, che rispetto alle quote di extra-comunitari che richiedono asilo nell’UE si pone contro, con arroganza e voce alta.
La gaffe del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker durante il summit europeo a Riga sul partenariato orientale del maggio scorso, con il suo “Ciao dittatore” rivolto ad Orbàn, descrive al meglio le tensioni presenti all’interno dell’istituzione europea per via di un referendum che, dopo la Brexit, risulta fin troppo sfacciato. Non ultima poi, la richiesta da parte del Lussemburgo di espulsione dell’Ungheria dall’Unione, per voce del suo Ministro degli Esteri Jean Asselborn, il quale in exploit per niente docile critica il governo per le posizioni populiste prese, rimarcando che il quesito utilizzato è in palese contrasto con lo spirito europeo.
Ma quale situazione sta vivendo l’Ungheria? Il piano europeo di accoglienza rigettato da Orbàn in effetti non risulta umiliare l’Ungheria, la quale si prevede dovrebbe ospitare un numero esiguo pari a 1294 migranti, ricollocati da Grecia e Italia. Tra l’altro dopo la decisione tedesca di accogliere più di un milione di persone, la presenza di migranti nell’area balcanica è sensibilmente diminuita, così rendendo l’Ungheria una semplice meta di transito per arrivare verso la ben più ricca Germania.
Ma l’Ungheria non demorde e attraverso una campagna ai limiti della xenofobia, che utilizza la paura e il terrore civile, citando anche i tragici avvenimenti del novembre scorso a Parigi, rilancia un quid di fronte al quale l’UE, come nel caso del referendum anglosassone, palesa la sua stasi istituzionale.
Disinformazione, linguaggio crudo e rude, tutto opera di un marketing politico aggressivo e, per certi versi, ai limiti della volgarità, che si serve dell’iconografia e del ridondante motivo dell’“invasione barbarica”, come la ricercatrice di Human rights watch Lydia Gall definisce.
Ovviamente, a che il referendum sia valido, dovrà votare almeno la metà degli aventi diritto e a tal proposito i partiti di opposizione si stanno da mesi impegnando per boicottare il voto.
Non rimane che stare a guardare, nella speranza che un altro tassello del quadro europeo non si dissolva, sotto la spinta di un viscido populismo che allontana dalla realtà legale la popolazione, servendosi dell’ignoranza generale (richiamo a tal proposito l’articolo “Perché è necessario prendere una decisione sui flussi migratori al di sopra dell’opinione pubblica”, http://www.ultimavoce.it/perche-necessario-prendere-decisione-sui-flussi-migratori-al-dellopinione-pubblica , riguardo gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e le relative sanzioni, le quali sono a carico dei contribuenti).
Di Ilaria Piromalli