Non c’è praticamente millennial che non abbia visto Lady Oscar, fortunatissimo anime con protagonista una nobildonna vissuta come un soldato, Oscar François de Jarjayes. Non molti, però, sanno che ad aver ispirato questo personaggio è stata una donna italiana realmente esistita, Francesca Scanagatta.
Francesca Scanagatta nacque il 1 agosto 1776 a Milano da una famiglia dell’alta borghesia locale. Il padre Giuseppe, infatti, era un intendente della finanza. La madre, Isabella, era colta abbastanza da volere che tutti i 7 figli apprendessero almeno il Francese e il Tedesco. Formatasi al collegio delle Dame della Visitazione, si diplomò a 16 anni con le lodi delle suore che l’avevano istruita. Curiosamente, costoro la descrivevano come una ragazza “estremamente mite e ragionevole”. Nel 1792, però, qualcosa cambiò. La famiglia si trasferì a Treviso e Giuseppe iniziò a prendere delle decisioni importanti per l’avvenire dei figli, che ormai si stavano facendo grandi. In particolare, il padre volle destinare Guido, un fratello minore di Francesca, alla vita militare iscrivendolo all’Accademia di Wiener Neustadt. Quanto a Francesca, la sua destinazione ultima era Vienna: lì l’attendeva una vedova che l’avrebbe aiutata a concludere la sua formazione.
Molto uniti, i due fratelli viaggiarono insieme verso l’Austria. A un certo punto del viaggio, però, Guido si ammalò e rivelò alla sorella che la vita militare non lo allettava per niente. Lei, allora, si fece consegnare la lettera di presentazione che lui avrebbe dovuto consegnare ad Haller, il chirurgo dello Stato Maggiore, e degli indumenti maschili. In quelle vesti, mentre Guido tornava a casa ad affrontare le ire di Giuseppe, Francesca si presentava all’Accademia e veniva ammessa.
Saputo dello scambio, il padre accorse subito presso la scuola per riprendersi la figlia ma, poco padrone del tedesco, non riuscì a farsi intendere. Del resto, nel brevissimo periodo già trascorso lì, la nuova recluta si era già distinta tanto che l’istituzione non ci pensava nemmeno a lasciarsela sfuggire. Ormai era fatta: Francesca Scanagatta era diventata “Franz”, e al padre non restò che tornarsene a casa.
Le peripezie di “Franz”
Risiedendo in una casa privata, per Francesca Scanagatta fu facile non farsi scoprire. Del resto, in intelligenza, energia e piglio lasciava indietro i compagni di corso senza fatica. Infatti, durante il periodo della formazione non solo consolidò il Francese e il Tedesco, ma imparò a padroneggiare anche l’Inglese. Inoltre, studiò matematica e fisica, ma anche teoria militare, senza trascurare le discipline del combattimento a cavallo e a piedi. Appoggiato da Haller, che stimava oltremodo quell’alunno brillante, “Franz” poté restare all’Accademia nonostante le cicliche minacce del padre. Inoltre, dopo aver ricevuto premi di merito nel 1795 e nel 1796, nel 1797 affrontò e superò brillantemente l’esame finale, divenendo alfiere. Francesca Scanagatta era ormai pronta per la guerra.
Lo stesso anno, perciò, chiese di poter servire in guerra come ufficiale. Vista la sua carriera in Accademia, lo ottenne subito, dato che l’Impero era impegnato nella guerra coi Francesi. Così fu assegnata alla 6ª Compagnia del I Battaglione da campo del Reggimento di Fanteria ai confini di Varadino-San Giorgio, sulla riva destra del Reno. Dopo il trattato di Campoformio servì al confine con la Slesia, per poi combattere anche in Polonia e in Liguria. E nel 1799 le spettava già la promozione a tenente.
Il ritorno alla vita civile
In questo lasso di tempo, Francesca Scanagatta restava in contatto con i genitori, che riuscì anche ad incontrare quando il conflitto si spostò in Italia. Il copione, però, era più o meno sempre lo stesso: lei restava con loro per un po’, poi ripartiva, sollevata. Le preoccupazioni dei familiari, soprattutto del padre, si facevano con gli anni sempre più asfissianti. A onor del vero, a motivo: con il seno sempre fasciato, Francesca era esile, nerboruta e sempre coperta di lividi e ferite.
Alla fine, nel 1800, Giuseppe non poté più trattenersi e si rivolse a Luigi Cocastelli, commissario imperiale a Milano. La sua speranza era di risolvere la faccenda discretamente ma una volta per tutte, e venne accontentato. Cocastelli, infatti, scrisse una lettera a Michael von Melas, comandante generale dell’esercito, e svelando l’identità di Francesca Scanagatta lo pregò di farla congedare.
Contrariamente a quel che ci si aspetterebbe, anche se congedata, Francesca Scanagatta non ne uscì con la reputazione in frantumi, anzi. Molti dei suoi commilitoni, scoperto il trucco, ebbero per lei parole di stima e ammirazione. E quando, l’anno successivo, l’ex tenente scrisse una supplica all’Imperatore Francesco II per chiedere un aiuto per la sua famiglia in difficoltà, il sovrano rispose. Per volere imperiale, infatti, le fu assegnata una rendita vitalizia annua di 2000 fiorini, valida anche se si fosse trasferita all’estero.
Francesca Scanagatta, con un piede al focolare e uno già nel mito
Già nel 1801, del resto, cominciarono a circolare dei resoconti in Francese, Tedesco e Italiano della bizzarra vicenda di Francesca Scanagatta. Alcuni, ipotizzano i maligni, potrebbero essere stati dettati da lei stessa. Diversi furono addirittura tradotti in Inglese e pubblicati in riviste specializzate, diventando la base per numerose biografie.
Mentre le cresceva intorno la leggenda, “Franz” a poco a poco si riabituava a vestire i panni femminili di Francesca. Cosa che non dovette riuscirle difficile, visto che nel 1804 conobbe e impalmò Celestino Spini, nobile valtellinese di Talamona. L’aspetto curioso di queste nozze è che si trattò di un matrimonio tra tenenti nemici. Spini, infatti, nel 1797 combatteva nelle truppe francesi e ancora nel 1804 militava tra i cacciatori a cavallo. Del resto, Spini proseguì poi la carriera, arrivando a prestare servizio tra gli ulani dell’imperiale e regio esercito fino alla pensione, nel 1819. Né trascurò, comunque, di essere il primo biografo ufficiale della moglie.
La coppia ebbe numerosi figli. La più simile a Francesca fu Isabella, che già madre di due bambini morì combattendo durante le Cinque Giornate di Milano. Quanto a Francesca, ebbe in sorte di sopravvivere anche al marito, morto nel 1831. La pur grave perdita, però, la fiaccò ma non le spezzò lo spirito. Infatti, il 20 giugno 1852, in occasione del solenne centenario dell’Accademia Militare, l’ultrasettantenne Francesca Scanagatta volle far avere agli allievi un suo biglietto di auguri. Si firmava così:
Franz Scanagatta, tenente, vedova del maggiore Spini.
E in quell’ultima firma, ancora, un esercizio di indomita libertà.
Valeria Meazza
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