Bernini patì in Francia, alla corte di Luigi XIV, un vero e proprio incubo artistico. L’artista stesso volle ricordare ciò col suo famoso Elefante il quale regge l’obelisco della Minerva.
In merito a questo monumento, degno di nota c’è un fatto. Bernini voleva far gravare il peso dell’elefantino tutto sulle sue stesse zampe. Egli aveva già realizzato, in passato, opere dove elementi pesanti gravavano su spazi vuoti.
I domenicani criticarono però il progetto (forse in particolare padre Paglia) in quanto andava contro i canoni classici. Ma cosa peggiore (per sua natura) poteva essere esposto a pericolo crollo. Bernini era solito sfidare la debolezza del marmo; questo per creare opere in cui figure e movimenti che non fossero limitati.
Il Papa diede ragione ai domenicani. Così Bernini fu costretto a cambiare i suoi piani, ed aggiunse così a sostegno dell’Elefante un cubo di pietra. Il tentativo di nascondere quest’ultimo non fu sufficiente, e l’apprezzamento del monumento ne risentì. Così i romani iniziarono a chiamarlo il “Porcino della Minerva“, più tardi purcino per via di una forma dialettale capitolina (quindi pulcino).
Ai tempi del Bernini, non solo artisti italiani si sentivano spaesati in Francia. Esempio lampante di questo è Poussin, francese egli stesso, disse che Roma fu il posto che più lo ispirò. E che, addirittura, sentiva la sua fiamma artistica soffocarsi uscendo dalla stessa città.
Una volta che egli ebbe terminato il celebre quadro del martirio di Sant’Erasmo, da Roma se ne tornò in Francia. Però sentendo nostalgia per la capitale dell’attuale Italia, decise presto di ritornarci con conseguente giovamento (a detta sua) per il suo talento.
Talento che al di fuori era andato perduto, quasi come Roma fosse per lui una sorta di elisir magico. Ma tornando al concreto, quando lui tornò a Roma se ne andò subito ad abbracciare le colonne della Rotonda (in riferimento al Pantheon). Tale era la sua nostalgia.
Fonti: Costantino Maes, Curiosità Romane, pag 214; senato.it.