Il 14 giugno scorso, nell’ambito della conferenza “Il futuro dell’Europa” organizzata dall’ISPI, gli interlocutori, il cardinale Scola e l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi, si sono soffermati molto sul tema della società e del suo elemento collante; il secondo, sviluppando un pensiero che prende piede dall’evidente riavvicinamento dell’elettorato a partiti estremisti all’interno dell’Europa, identificava la divisione dei redditi e le conseguenti differenze nei salari come il motivo economico scatenante la condizione attuale.
La differenziazione salariale di fatto, frutto di un cieco liberismo, sta distruggendo la classe media, estirpando così in maniera più che masochista l’elemento unificante della società.
Secondo Prodi, dunque, personaggi come Le Pen e Trump altro non sono altro che catalizzatori populisti dell’attenzione di chi ha perso tutto o continua a perdere sempre di più, strozzato dalla morsa delle tasse e da un salario insufficiente.
In questi giorni è Michele Serra ne L’Amaca a ritirare in ballo il tema: “la morte del risparmio rappresenta la morte del ceto medio”, “chi ha il sangue freddo e le risorse per farlo” (investimenti) “(pochi!) diventa scommettitore, tutti gli altri si trasformano in spettatori spaventati e impotenti.”
Ma in sostanza, di cosa si sta parlando e cosa sta succedendo alla nostra economia?
A partire dalle prime decolonizzazioni e dalla crescita globale in termini di produttività, alias con lo sviluppo globale, si è verificato un shock, la cui conseguenza è stato un circolo di disinflazioni poco salutari. Per i non addetti al settore, la disinflazione altro non è che quel fenomeno che porta alla riduzione dell’inflazione, quindi del livello medio di beni, prezzi e servizi in un determinato periodo di tempo, che dì per sé conduce ad un abbassamento del potere d’acquisto di moneta.
La crisi economica del 2007/2008, la crisi dei CBO, dei sub prime, dei titoli gonfiati ma dal valore nullo, non ha certo garantito un miglioramento della situazione, ma un’innalzamento del livello di sfiducia nell’investimento.
L’investimento è comunemente percepito come quella possibilità data a tutti di arricchirsi dando fiducia a un titolo quotato in borsa. E tutti, ognuno, mossi dal desiderio di far qualche soldo in più in maniera così semplice, iniziano ad investire. Poi lo scandalo: quei titoli garantiti riguardanti il mercato immobiliare crollano. Una bolla finanziaria: l’aspettativa che non corrisponde al reale valore.
Quando una persona delude le nostre aspettative ne consegue la perdita di fiducia. Ecco, nel mercato non avviene nulla di diverso. Il crollo delle aspettative, alias quella bolla che ha condotto al lastrico un numero di persone che fa venire i brividi, ha portato ad un numero sempre più esiguo di investimenti. Bel problema per un’economia liberista!
Ma non è tutto. La morte del risparmio è una conseguenza del peggioramento nelle condizioni di vita del ceto medio, dei salari sempre più bassi e non all’altezza dello standard di vita universalmente riconosciuto. È una conseguenza delle politiche economico-commerciali così cieche e così poco rivolte al futuro, realizzate finora.
La differenza dei redditi di fatto prende piede da qui, da politiche sbagliate, da politiche liberiste poco attente all’interesse generale della società civile, da una scarsa attenzione rivolta nei confronti del giusto coordinamento tra sviluppo e tassi reali, il cui mancato controllo conduce inevitabilmente alla creazione di un’oligarchia posseditrice di risorse e ricchezze, a discapito di quell’uguaglianza di cui lo stato moderno si fa profeta.
Ma la differenziazione salariale e il tema che ruota attorno alla bassa propensione al risparmio, non è materia nuova.
Larry Summers, ex Segretario del Tesoro statunitense, già rettore dell’Università di Harvard, in quello che da molti è stata definita una deduzione fin troppo pessimistica, ma in realtà non così distante dalla realtà, vede nella “stagnazione secolare”, uno dei motivi alla base della crisi che stiamo vivendo.
La tesi, non è di nuova fattura, anzi, risale agli anni della Grande Depressione e vede come suo fautore Alvin Hansen, economista.
Il riadattamento della tesi di Summers pone le basi sulla stasi dei tassi d’interesse, l’aumento del debito pubblico, la diminuzione del PIL e quindi una crescita inesistente. Trova conferma nella caduta del saggio di profitto (e ripescare Marx con la sua teoria del plusvalore a tal proposito non farebbe male!), “a in cui il saggio di profitto, il saggio di valorizzazione del capitale complessivo è il pungolo della produzione capitalistica, così come la valorizzazione del capitale è il suo unico scopo, la sua caduta rallenta la formazione di nuovi capitali indipendenti e appare come una minaccia per lo sviluppo del processo di produzione capitalistico. (Questa stessa caduta favorisce sovrapproduzione, speculazione, crisi, capitale in eccesso accanto alla forza-lavoro in eccesso o sovrappopolazione relativa)”.
“Tempi bui” direbbe qualcuno. Vige senza ombra di dubbio l’imperativo di chiedere ai policy maker una politica economico/commerciale certa e solida, una politica di lungo periodo, dall’occhio ipermetrope e non più miope.
Delle risposte che garantiscano un futuro al di là dei teatrini.
Ma vige, sopratutto, da parte della società civile che vuole garantire un futuro ai suoi figli, l’impegno a prestar attenzione ai fatti più che alle parole di cui tanti politicanti si fan piena la bocca.
Di Ilaria Piromalli