Con il colpo di stato in Niger dello scorso 26 luglio crolla l’ultimo baluardo filo-occidentale nel Sahel. Il golpe messo a segno dal generale Abdourahmane Tchiani, il terzo nell’area subsahariana dopo quelli in Mali e Burkina Faso, dimostra come l'”epidemia” delle insurrezioni militari nel continente nero stia diventando sempre più aggressiva e imprevedibile.
Quando nel 2021 Mohamed Bazoum venne eletto presidente del Niger tramite elezioni libere, le prime dall’indipendenza dalla Francia del 1960, la sensazione era che la parentesi democratica non sarebbe durata a lungo. E così è stato. Dal 26 luglio Mohamed Bazoum è trattenuto dalla guardia presidenziale dopo il colpo di stato messo a segno dal generale Abdourahmane Tchiani.
L’insurrezione armata di Tchiani non è un evento inaspettato per un Paese in cui la transizione del potere avviene soltanto tramite spargimenti di sangue. Gli eventi di questi giorni in Niger non fanno altro che confermare lo scenario di crescente instabilità nella regione del Sahel dopo i colpi di stato che tra il 2020 e il 2022 hanno travolto le due ex colonie francesi del Mali e Burkina Faso.
Il colpo di stato di Tchiani allontana il Niger dall’Occidente
Il colpo di Stato in Niger rappresenta un problema di strettissima attualità per l’Europa e gli Stati Uniti. Il presidente Bazoum, scampato ad un precedente tentativo di golpe nel 2021, era considerato uno dei leader più filo-occidentali del Sahel. Lo scorso dicembre il leader nigerino era stato a Roma per un incontro con il presidente Sergio Mattarella in occasione della conferenza della Fondazione Med-Or. E a febbraio a Niamey si era tenuto un business summit tra Unione Europea e Niger per rilanciare il partenariato commerciale al quale aveva preso parte anche una delegazione di imprese italiane.
A Washington e a Bruxelles sapevano che Bazoum era seduto su una polveriera pronta ad esplodere ma non pensavano che la situazione potesse deteriorarsi così velocemente. Eppure, era stata la stessa Nato, durante il summit di Madrid, a definire il Sahel una delle principali aree di crisi del “Mediterraneo allargato”.
Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno investito circa mezzo miliardo di dollari per favorire la stabilità del Niger, coinvolgendo anche altri stati europei come la Germania – che avrebbe dovuto inviare a breve un dispiegamento di alcune sue unità delle forze armate all’interno di una missione militare europea – e la Francia.
E proprio la Francia ha un ruolo particolare nella vicenda di questi giorni, poiché l’operazione militare con la quale il generale Tchiani ha spodestato Bazoum è animata da un forte sentimento antifrancese che in quella parte del continente africano ha reso attuabili i colpi di stato in Mali e Burkina Faso.
Un golpe inaspettato?
Al momento del colpo di stato del 26 luglio scorso, il Niger era uno dei paesi più militarizzati dell’Africa. Gli Stati Uniti e la Francia hanno sul territorio nigerino oltre 2500 soldati in due (1000 inviati da Washington e 15000 da Parigi) e anche l‘Italia ha un contingente delle proprie forze armate nell’ambito della missione bilaterale MISIN, che prevede attività di addestramento, formazione, consulenza, assistenza, supporto e mentoring in favore delle Forze di Sicurezza nigerine.
Inoltre, l‘Onu avrebbe dovuto spostare a breve nella capitale Niamey altri tredicimila caschi blu in rotta con la giunta militare del Mali che preferisce fare affidamento sulle milizie mercenarie della Wagner.
Eppure, il generale Tchiani, capo della guardia presidenziale è riuscito a spodestare il presidente legittimo, dopo essersi assicurato il sostegno delle forze armate, proprio sotto al naso delle potenze occidentali.
Tchiani sapeva che Bazoum aveva intenzione di rimuoverlo dalla sua posizione di potere e ha tentato il colpo grosso, giocando anche sul radicato sentimento anti-occidentale di una parte della popolazione.
L’ombra di Mosca dietro al golpe in Niger
Il vuoto generato dal colpo di stato di questi giorni rischia di spianare ulteriormente la strada al Cremlino nell’area del Sahel. Ad oggi, la Russia rappresenta per l’Africa il principale fornitore di armi – il 40% delle esportazioni sono russe contro il 16% di quelle americane – nonché il primo sponsor e facilitatore autocratico per quei leader che mal sopportano l’ingerenza dei paesi occidentali nel continente.
Negli ultimi anni, grazie alle milizie mercenarie della Wagner, Mosca è riuscita a fare breccia nell’economia e nella sicurezza nazionale di molti stati africani tra cui Mali, Chad, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, e adesso potrebbe aggiungere alla sua schiera di alleati anche il Niger di Tchiani.
Dopo il golpe, il leader in pectore dei Wagner, Evgenij Progozhin, si è congratulato con le forze del generale Tchiani per aver scacciato gli ex colonizzatori europei conquistando finalmente l’indipendenza. Il fondatore di Wagner non si è limitato soltanto agli elogi ma ha promesso il sostegno dei suoi paramilitari alla causa nigerina qualora Tchiani ne facesse esplicita richiesta.
Le dichiarazioni di Prigozhin cadono in un momento di grande incertezza per molti paesi del continente nero a causa del mancato rinnovo dell’accordo sul grano tra Kiev e Mosca, con quest’ultima che sta portando avanti una complessa operazione di “diplomazia alimentare”, finalizzata a fornire gratuitamente agli amici africani il prezioso cereale.
Il presidente russo Vladimir Putin spera di ripetere in Niger ciò che è già accaduto in altri paesi dell’area subsahariana come il Mali e il Sudan, dove la popolazione locale lo considera già come un novello liberatore del continente dal giogo delle potenze occidentali. Se il piano dovesse riuscire anche questa volta, il crollo della sfera d’influenza europea nella fascia del Sahel potrebbe essere davvero irreversibile.
Tommaso Di Caprio