Per la quindicesima volta consecutiva l’Islanda è il paese più pacifico del mondo, lo ha stabilito il Global Peace Index 2023. A seguire Danimarca ed Irlanda, ma nella top 10 sono presenti anche paesi non europei come Singapore e Nuova Zelanda. Crolla però la pace sul pianeta, mai registrati così tanti morti a causa delle guerre nel XXI secolo.
Il paese più pacifico del mondo è l’Islanda
Il Global Peace Index 2023 stilato dall’Institute for Economics and Peace ha decretato per il quindicesimo anno consecutivo l’Islanda come il paese più pacifico del mondo. La classifica, basata su 23 fattori qualitativi e quantitativi in 163 Stati e territori indipendenti, che coprono il 99,7% della popolazione mondiale (tra cui conflitto, sicurezza, protezione e militarizzazione) vede nella top 10 Danimarca, Irlanda, Nuova Zelanda, Austria, Singapore, Portogallo, Slovenia, Giappone e Svizzera, una forte presenza europea quindi, ma anche nazioni asiatiche e del continente australe. Non tutto ciò che luccica è però oro. L’Islanda è sì ancora una volta al primo posto dell’indice, ma il suo punteggio complessivo è peggiorato rispetto al 2022, a causa del maggior numero di omicidi e della prima minaccia terroristica registrata nella storia del paese: l’indice riporta infatti che quattro persone sono state arrestate e accusate di aver pianificato attacchi terroristici contro il parlamento islandese e politici di spicco. Il trend negativo islandese non è però un caso isolato, ma anche il resto del mondo, ed in primis l’Europa, viaggiano nella stessa direzione.
Se il Vecchio Continente rimane, come dimostrano anche le posizioni dei vari paesi nella classifica, la regione più pacifica a livello globale, nel corso dell’ultimo anno ha peggiorato anch’essa il suo punteggio. La guerra in Ucraina ha influito moltissimo, causando una minor stabilità politica e una maggior conflittualità sia esterna che interna alla regione; proprio a dimostrazione di questo, il rapporto afferma che tre dei cinque paesi che hanno registrato un maggior deterioramento della pace sono proprio quelli che condividono un confine con il paese guidato da Zelensky. Sempre il Global Peace Index 2023 riporta che il 65 per cento degli uomini in Ucraina di età compresa tra i 20 e i 24 anni è fuggito dal paese o è morto nel conflitto e che, per forza di cose, oltre la metà del PIL ucraino è interessato dalle operazioni belliche. Tutto ciò ha fatto in modo che l’Ucraina sia scesa di 17 posizioni nella classifica, arrivando quest’anno al 157° posto. Non è stato il paese che è peggiorato di più, ma si trova comunque in una posizione decisamente non invidiabile.
Una pace in regressione
Non solo l’Europa, ma tutto il mondo vede un complessivo peggioramento dell’indice di pace. Il Global Peace Index registra che, nei 163 paesi indagati, la pace è migliorata in 84 di essi mentre è peggiorata in 79, ma il livello medio è peggiorato per il nono anno consecutivo. Il dato più allarmante però riguarda l’internalizzazione dei conflitti: oggi 91 paesi sono coinvolti in qualche forma di guerra verso l’esterno, rispetto ai 58 del 2008. Il conflitto in Etiopia è quello che ha causato maggiori decessi, anche più della guerra in Ucraina, toccando circa le centomila morti sul campo di battaglia ed oltre duecentomila causate dalle carestie e dalle malattie che il conflitto ha generato. Anche le organizzazioni umanitarie americane e le Nazioni Unite hanno interrotto le spedizioni di cibo a causa della corruzione nelle catene di approvvigionamento alimentare.
Il problema è che le guerre sono praticamente impossibili da vincere, se non vengono usate armi classificate come illegali l’unico modo per far terminare un conflitto è la mediazione o una pace a tavolino, ma altrimenti si crea quasi sempre una situazione di stallo, dove entrambe le parte conseguono alternativamente vittorie, non riuscendo mai di fatto a prevalere. Di conseguenza, le guerre diventano un peso economico prolungato e sempre meno sostenibile per i paesi belligeranti. Per questo le spese militari, seppure sempre rilevanti in paesi come Stati Uniti, Cina ed India, stanno diminuendo. Da un lato le spese vengono dirottate dal settore bellico verso quello sanitario, dell’istruzione e le infrastrutture (anche in vista di una ripresa dalla pandemia), dall’altro si cercano di utilizzare in modo maggiore tecnologie come i droni, che non richiedono una persona al comando del velivolo, risparmiando in addestramento, equipaggiamento e vite umane. Sarà probabilmente difficile registrare una controtendenza nei prossimi anni, almeno nell’immediato futuro, le tensioni internazionali non sembrano intenzionate a scemare e soprattutto nei paesi più poveri le guerre civili scoppiano molto frequentemente. Quello che ci auguriamo è che almeno gli stati “più avanti” nella democrazia non contribuiscano a peggiorare la situazione.
Marco Andreoli