– di Michele Marsonet –
Un altro focolaio di guerra si è acceso nel tormentato scacchiere mediorientale. Questa volta ad essere coinvolti sono l’Afghanistan dei talebani e l’Iran degli ayatollah.
Le motivazioni non sono religiose, pur essendo i talebani sunniti e gli iraniani sciiti. Oggetto del contendere sono invece le acque del fiume Helmand, il principale dell’Afghanistan, che percorre l’intero Paese per poi sfociare nel bacino iraniano del Sistan.
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Secondo un accordo bilaterale del 1973, gli afghani sono tenuti a fornire a Teheran una certa quantità d’acqua, e il presidente iraniano Ibrahim Raisi ha accusato il governo di Kabul di aver tradito il suddetto accordo.
Si sono verificati scontri al confine tra i due Paesi, e ciascuno accusa l’altro di aver aperto il fuoco. C’è già un numero imprecisato di morti e la tensione sale.
In apparenza c’è sproporzione tra le forze armate delle due nazioni. L’Iran è una potenza regionale e può contare su un esercito di circa 700mila uomini. Più limitate le forze dell’Emirato Islamici dell’Afghanistan, con 200mila soldati.
Tuttavia sottovalutare gli afghani non ha mai giovato a nessuno, come ben sanno inglesi, russi e americani che in tempi diversi sono intervenuti militarmente per mettere sotto controllo questa nazione, da sempre contesa per la sua posizione strategica.
I talebani, pur essendo in inferiorità numerica, conoscono perfettamente il territorio e possono inoltre contare su armamenti sofisticati (pare per miliardi di dollari) abbandonati dagli americani durante il disastroso e affrettato ritiro ordinato da Joe Bidem.
Mette conto notare che la stessa situazione si verificò in Iraq, quando l’esercito sostenuto dagli Usa fu sbaragliato dall’Isis che si impadronì, proprio come i talebani, di grandi quantità di armi made in Usa e abbandonate sul terreno.
E, in effetti, al confine tra Afghanistan e Iran sono state notate lunghe colonne di mezzi corazzati e artiglieria talebani di produzione americana. Con questo il governo di Kabul vuol fare capire alla controparte di non temere affatto la potenza dell’esercito iraniano, e di essere disposto ad andare fino in fondo.
In realtà Teheran accusa, più che il governo talebano, i trafficanti di oppio ricavato dai papaveri, che hanno bisogno di grandi quantità d’acqua. La quale, però, è necessaria anche all’Iran che sta soffrendo per la siccità.
Il problema è che, nel contesto afghano, è difficile distinguere tra governo e trafficanti, poiché la droga costituisce la principale fonte di entrate, al punto che molti definiscono quello dei talebani “narco-Stato”.
Ora pare che le due parti vogliano abbassare i toni, pur permanendo una situazione di acuta tensione. Ed è difficile capire chi possa mediare tra i contendenti.
Non certo gli Stati Uniti, estromessi dall’Afghanistan e in pessimi rapporti con Teheran. Forse può farlo la Cina, che ha promosso l’accordo tra Iran e Arabia Saudita e mantiene buoni canali di comunicazione con i talebani. Anche perché l’Afghanistan confina con la regione cinese del Xinjiang, popolata dagli uiguri musulmani.