Non solo monumenti, l’UNESCO cura anche le tradizioni locali trasmesse nei secoli. Dal canto al cibo, dalla transumanza all’alpinismo, scopriamo qual è il patrimonio culturale immateriale italiano.
Nel 2003 l’UNESCO adottò la Convenzione tramite cui mise in essere delle procedure per la preservazione e la documentazione di spazi, oggetti e tradizioni considerate dalle comunità parte integrante della loro cultura. Attualmente sono 17 gli elementi iscritti nella lista del patrimonio culturale immateriale italiano, di cui l‘ultimo inserito è il Tocatì (2022).
Il patrimonio immateriale UNESCO
Fondamentale per la tutela della diversità, rappresenta la creatività umana e favorisce, almeno dovrebbe, un dialogo fra tutte le culture presenti nel mondo. Ha poi un ruolo inclusivo, poiché si compone di elementi che, travalicando i confini geografici, hanno subito influenze diverse e rispecchiano un ambiente in continua evoluzione. In ultimo, il patrimonio immateriale diventa tale quando è la stessa comunità promotrice a riconoscerlo come un’espressione radicata della propria eredità culturale.
Una fragilità dal valore inestimabile
A vent’anni dalla firma della Convenzione, il Patrimonio immateriale culturale dell’UNESCO conta 677 elementi, distribuiti in 140 paesi. Un numero importante raggiunto durante la 17a sessione del Comitato intergovernativo a Rabat (Marocco), in occasione della quale 48 nuovi elementi sono entrati nella lista.
Il patrimonio italiano
L’Osservatorio nazionale per il patrimonio immateriale dell’UNESCO, istituito dal Ministero della cultura (MiC), ha il compito di monitorare e valutare le attività degli elementi iscritti alla lista. Tuttavia, è fondamentale anche il contributo della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, che propone progetti per il monitoraggio e la tutela.
La dieta mediterranea
Considerata uno stile di vita, congiunge insieme tradizioni di regioni diverse e rappresenta un modello nutrizionale ampiamente adottato. Una cultura antica, che interseca la storia di praticamente tutti i paesi affacciati sul Mediterraneo, le cui usanze hanno segnato epoche e attraversato i secoli. Inoltre, i suoi prodotti rappresentano una produzione attenta allo spreco e alla conservazione delle materie prime: una mentalità pioneristica in termini di sostenibilità.
I napoletani hanno sempre avuto il loro fast food. Si chiama pizza.
Alta, bassa, a lievitazione naturale o di farina integrale la pizza ha il potere di conquistare tutti. Tuttavia, per l’UNESCO l’arte dei “pizzaiuoli” napoletani è un simbolo della cucina italiana così come le pizzerie in cui prende forma. Diffusasi in un primo momento solo trai ceti più poveri, ha poi catturato l’attenzione e conquistato il palato anche delle famiglie più ricche.
Complici gli spazi spesso angusti, che costringono i pizzaioli a lavorare a vista, l’arte di preparare la pizza coinvolge anche il pubblico, consumatore e al contempo giudice di un’esibizione tanto unica, quanto rappresentativa di un’identità forte e radicata nel territorio natale.
Nella omologazione portata dalla ‘globalizzazione’, la maestria espressa dagli antichi mestieri è da salvaguardare al pari delle opere d’arte.
Nata nel Cinquecento per mano di Andrea Amati (1505/10-1577), l’arte liutaria della tradizione cremonese vive ancora oggi nelle botteghe, dove si impara e tramanda il mestiere. Ciascuno strumento ad arco, costruito con materiali di pregio, è un unicum dal valore inestimabile. Gli artigiani studiano nella Scuola Internazionale che, fondata nel 1939 a Cremona, prevede diverse ore di formazione e di apprendistato presso botteghe locali.
I muretti a secco
Fin dalla preistoria l’uomo ha plasmato la superficie terrestre affinché divenisse un terreno ospitale. Nei contesti rurali tuttora è viva questa tradizione che si esplica in diversi modi, ad esempio con la costruzione di muretti a secco, unici perché eretti senza l’uso di alcun legante. Una tecnica funzionale e vicina all’ambiente, che richiede abilità come la capacità di saper riconoscere le pietre e manipolarle.
Il granello di sabbia dentro l’ostrica. L’arte di perseverare sopra un difetto permette di raggiungere la perfezione.
La produzione di perle di vetro è una tradizione molto antica che trova origine tra Venezia (XIV) e Francia (XV). Particolarmente apprezzate nelle colonie africane occidentali e in India, le perle veneziane hanno raggiunto i porti di tutto il mondo, dove venivano scambiate come materie preziose.
Simbolo di un’identità forte, sono lavorate in diversi modi, sebbene in Italia si prediliga la produzione di perle “a lume” e “da canna”. Un patrimonio immateriale culturale italiano, visibile tuttora nei laboratori locali, che spesso propongono visite guidate ai forestieri, affinché questi saperi non vadano persi.
Il patrimonio immateriale della transumanza
Trattasi di una forma di allevamento estensivo, diffusa soprattutto nelle regioni alpine e appenniniche italiane. Seguendo antiche tracce migratorie, i pastori spostano gli animali secondo rette orizzontali oppure verticali. Una pratica che richiede conoscenze approfondite sulla gestione degli animali e sui rischi legati a fattori climatici e idrogeologici.
Il patrimonio immateriale culturale italiano della transumanza raccoglie culture e relazioni sociali, ma anche la capacità di gestire il territorio secondo un modello sostenibile.
Il falco si muove al confine tra il mondo e il silenzio. Non lo senti mai quando arriva. Le sue ali non fanno rumore. Il suo corpo sembra attraversare l’aria senza spostarla.
Un tempo praticata per l’approvvigionamento di cibo, ha oggi un valore simbolico anche per promuovere la tutela dei rapaci. Conosciuta probabilmente fin dalla preistoria, la falconeria lega popoli di paesi lontani, che hanno conservato nel tempo l’arte di addestrare i rapaci.
Molteplici le specie ammirabili nelle mani dei falconieri, la cui arte si tramanda in famiglia. Dal falco pellegrino al gheppio, dall’astore all’aquila ciascuna predilige la sua preda e richiede un addestramento mirato. Una condivisione di spazi e di tempo portano l’uomo e il rapace ad instaurare un rapporto profondo, basato soprattutto sul rispetto reciproco.
Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime.
Di origine sarda, il ‘(su) traju’, ovvero il canto a tenore, è la combinazione tra un solista e tre commenti vocali dal timbro profondo con funzione di accompagnamento. Probabilmente ebbe origine nel periodo nuragico (II millennio a.C.) e contempla una profonda conoscenza dei testi vocali, tradizionalmente eseguiti in occasioni sociali legate alla propria comunità.
Il patrimonio immateriale culturale italiano nascosto
Nel patrimonio immateriale culturale italiano si annoverano altre famose e storiche tradizioni, che hanno segnato e caratterizzato, ieri come oggi, la nostra meravigliosa penisola. Dal teatro delle marionette siciliane, la cosiddetta “Opera dei pupi” alla coltivazione della vite ad alberello sull’isola di Pantelleria, dall’arte musicale dei suonatori di corno da caccia alla raccolta del tartufo, l’Italia è la culla di un folklore dal valore inestimabile.
Un’identità forte costruita anche attraverso le tradizioni religiose, come le feste delle grandi macchine a spalla, ovvero le processioni, durante le quali alcuni uomini portano sulla schiena strutture devozionali di ingenti dimensioni.
A ogni peccatore si debbe perdonar pel primo tratto: s’io ho fallato, perdonanza chieggio;
quest’altra volta so ch’io farò peggio.
Comunemente definito il “Rito del perdono”, è una solenne cerimonia, per ottenere la remissione dei peccati, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio dell’Aquila. Tale ricorrenza viene celebrata in memoria della prima indulgenza plenaria concessa ai fedeli da Papa Celestino V nel 1294.
Conservare i valori e le tradizioni è un dovere della cultura italiana.
Musei, monumenti e palazzi storici conservano e raccontano la storia del nostro paese. Un diario a più mani plasmato in materiali diversi che riflettono un’eredità culturale dal valore inestimabile. A questa ricchezza tangibile si unisce il patrimonio immateriale, fatto di tradizioni, costumi, racconti e arti del saper fare, la cui tutela nei secoli é stata affidata alla perseveranza delle genti locali.
Persone, giovani e anziane, così legate alle loro radici, da fare del verbo un’arma contro l’oblio e l’indifferenza, che ancora troppo spesso ci inducono a dimenticare da dove siamo partiti.