Il Primo Maggio ricordiamo le lotte compiute nel corso degli anni per difendere i diritti dei lavoratori. Ma tutt’oggi non si è smesso di combattere, come dimostrano i traguardi recentemente raggiunti nelle nuove direttive dell’Unione Europea
Gli scioperi e i movimenti nati a partire dall’Ottocento si ponevano come obiettivo rivendicare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. In particolare quest’ultime fecero sempre molta più fatica a far valere i propri diritti, a vedere riconosciuto il loro lavoro ed evitare di essere sfruttate. Per questa ragione è ancora più encomiabile l’operato di Sarah Chapman, colei che organizzò il primo sciopero con e per le donne lavoratrici.
Le operaie alla Bryant and May
È il 1861 e a Londra la fabbrica di fiammiferi Bryant and May apre i battenti. Qui vengono impiegate giovani donne, ma anche bambine, che per un compenso bassissimo lavorano 6 giorni a settimana per 12 o 14 ore al giorno. Come se ciò non bastasse, spesso la loro paga veniva diminuita a causa di “multe” dovute all’aver parlato, a ritardi o in caso la postazione fosse stata disordinata. Le punizioni però potevano anche essere corporali ed era vietato ribellarsi. Ciò che accadeva in questa fabbrica non era un caso isolato, allora cosa fece insorgere le operaie?
I proprietari della fabbrica, per incrementare i guadagni, avevano iniziato ad utilizzare il più scadente fosforo bianco anziché quello rosso tipico dei fiammiferi. L’unico piccolo effetto collaterale? Il fosforo bianco era altamente tossico: causava un tumore alla mandibola portando alla perdita dei denti, alla deformazione dell’osso e infine anche alla morte. La soluzione adottata dai proprietari era di licenziare le donne che iniziavano a mostrare i sintomi.
Lo sciopero e la nascita del sindacato
Sarah Chapman aveva 19 anni quando fu assunta dalla Bryant and May, era il 1881, ma dovremmo aspettare il giugno del 1888 prima che si accenda la fiamma della rivolta. La Fabian Society, un’associazione socialista inglese, si rese conto delle condizioni disumane in cui lavoravano, così Annie Besant e Herbert Burrows, fermarono le operaie all’uscita dalla fabbrica per ascoltare i loro racconti. Il 23 giugno, sul settimanale “The Link”, Annie pubblicò un articolo dal titolo: “La schiavitù bianca a Londra” che fece molto clamore.
Grazie a questo sostegno, circa 1400 donne dichiarano lo sciopero e scesero in strada per difendere i diritti dei lavoratori. Ben presto si organizzarono in un comitato e presentarono le loro richieste ai proprietari della fabbrica. Nacque così il primo e più grande sindacato femminile: The Matchmaker’s Union, con a capo Sarah Chapman (nella fotografia è la seconda in alto a sinistra). Sarah fu anche la loro rappresentante al Trade Union Congress, confederazione di sindacati del Regno Unito.
Possiamo perciò considerare queste donne tra le pioniere delle lotte per l’equità di genere e la tutela sul lavoro, lotte che sono state portate avanti fino ai nostri giorni.
Le nuove norme UE per raggiungere la parità salariale
Arriviamo ad oggi. Sappiamo bene come molte donne siano costrette a scegliere tra lavoro o famiglia, come ai colloqui si chieda se hanno intenzione di restare incinte, come sia complesso raggiungere una posizione di potere e, non per ultimo, come a parità di mansione, le donne ricevano uno stipendio inferiore rispetto agli uomini.
In tutti gli Stati membri dell’Unione Europea le donne guadagnano in media il 13% in meno dei loro colleghi (in inglese prende il nome di Gender Pay Gap). L’Eurostat ha calcolato i dati relativi ai vari Stati Europei rispetto al 2021: l’Italia raggiunge il 5%, il Paese più virtuoso è il Lussemburgo in cui il gap è praticamente nullo, fino ad arrivare al drammatico 20,5% dell’Estonia. Il divario però aumenta se, anziché considerare il salario orario, si considera il salario annuo, poiché le donne lavorano meno ore. Infine, il tasso di occupazione femminile resta sempre inferiore a quello maschile.
Il 30 marzo 2023 il Parlamento Europeo ha finalmente approvato la nuova legislazione con 427 voti favorevoli, 79 contrari e 76 astenuti. Queste norme imporranno alle aziende, sia pubbliche che private, di eliminare il divario retributivo basato sul genere e di svolgere assunzioni in modo non discriminatorio. Inoltre, nel caso le norme non vengano rispettate, sono previste delle sanzioni per i datori di lavoro.
Le misure UE però non riguardano solo il Gender Pay Gap, ma raggiungono altri due importanti traguardi in difesa dei diritti dei lavoratori:
- La trasparenza retributiva, ossia fornire tutte le informazioni riguardanti il salario percepito in maniera chiara ed esaustiva.
- L’onere di prova passerà dal lavoratore al datore di lavoro. Cosa significa? Prima di questa norma era il lavoratore a dover portare le prove in tribunale per dimostrare di essere stato vittima di discriminazioni. Adesso è il datore di lavoro a doversi difendere e cercare le prove per dimostrare che non ci sia stata discriminazione.
Si tratta di decisivi passi avanti poiché finalmente esistono norme precise per combattere il divario retributivo e per proteggere i lavoratori, dimostrando come l’Unione Europea si schieri contro la discriminazione.
Maria Rosa Cottone