Il 13 aprile del 1975 a Cittanova, una piccola cittadina di 10000 abitanti, si consuma una tragedia che lascerà il segno per lungo tempo. I due fratellini Domenico e Michele, guardiani di porci, vengono freddati da cinque sicari.
Il delitto è connesso alla faida che vede opporsi i Facchineri, “le bisce” ai Raso-Albanese, i cosiddetti “targagni”, in una guerra che andava avanti dal 1964. Presumibilmente nato dalla contesa dei pascoli, in questo conflitto si contano decine e decine di morti ammazzati. Per la precisione tra gli anni Sessanta e i primi dell’Ottanta sono quarantadue i cadaveri di vittime perlopiù innocenti.
La strage di via Palermo
Nella strage di via Palermo sono invece tre i morti: alle 9 e 15 5 uomini aprono il fuoco su Giuseppe Facchineri, che cade al suolo morto, e sul suo nipotino Michele di soli 6 anni, ferito assieme alla moglie di Giuseppe, Carmela, che portava in grembo una creatura di sette mesi. Ma la strage non è ancora finita. Appena venti minuti dopo altre due vittime innocenti si aggiungono alla lunga lista.
Sono figli di Vincenzo “o zoppu” i bambini che rimangono coinvolti nell’omicidio. La loro unica colpa è di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato e di essere imparentati con i nemici.
Poco dopo, infatti, i sicari si trovano su una strada di campagna, su di un furgone rubato, proprio dove i fratellini stanno facendo la guardia ai maiali. Alla vista degli uomini, i bambini tentano, invano, la fuga, sapendola la loro unica chance. Ma per loro non c’è via di scampo. Domenico alza le mani in segno di resa, mentre Michele tenta di nascondersi dietro ad un cumulo di sabbia, ma i killer li freddano senza pietà a suon di colpi di lupara. Ad assistere all’agghiacciante scena e trovare così i corpi sul greto di un torrente è Pasquale De Marzo, un contadino della zona, che racconterà la scena dettagliatamente.
Una storia già scritta dalla ‘ndrangheta
È il tenente dei carabinieri Cosimo Sframeli a raccontare la strage dei bambini:
Misero i bambini dei Facchineri insieme alle loro madri, nei pulmini dei carabinieri e li fecero partire la notte di Natale verso luoghi più sicuri, lontani dalla violenza cieca della faida. Qualcuno di loro si salvò ma in tanti, anni dopo, ritornarono a Cittanova e morirono morti ammazzati come i loro padri e i loro nonni
La loro storia è simile a quella di tante altre vittime morte silenziosamente per mano della ‘ndrangheta e vissuti nella paura. Paura che non basta a salvaguardarli, perché i nemici cercano proprio loro, gli innocenti, bersagli privilegiati per infliggere al nemico un dolore più forte.
Per lungo tempo Domenico continuò a vivere con il cuore in gola, con le sue paure. Mangiava e vomitava. Sudava freddo ad ogni rumore. Di notte si svegliava per gli incubi a urlava la sua disperazione. Temeva che volessero ucciderlo, che arrivasse un uomo armato, incappucciato, pronto a eliminarlo. Il balcone di casa, per i primi tempi, era fuori dai suoi spazi: “Vengono da lì”, ripeteva, “salgono da lì e mi uccidono”.
Per il piccolo Domenico e il suo fratellino il finale è stato proprio quello che si immaginava.